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La fabbrica e l'accademia

Paolo Gentile

Nel volume “La fabbrica e l’accademia”, sono raccolti 4 distinti saggi che tentano una interpretazione con un viaggio a ritroso negli ultimi 50 anni di storia della prevenzione e protezione sul lavoro nel nostro Paese, attraverso l’analisi di tre momenti fondamentali nella storia di questi anni:

 

  • il modello sindacale di intervento sull’ambiente di lavoro, che si afferma a partire dal ciclo di lotte operaie che va dal 1968 al 1972;

  • l’emanazione del D.Lgs. 81 del 2008, che segna la conclusione di un percorso iniziato con l’emanazione della 626 del 1994;

  • l’avvio della valutazione del rischio stress lavoro-correlato a partire dal gennaio 2011;

 

tenta di costruire un quadro coerente di intervento ergonomico e suggerire un modello di intervento partecipativo capace di tener conto di queste esperienze.

 

Esperienze rappresentative di due epoche: le esperienze sindacali degli anni 60/70 e le successive esperienze legislative dei due decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Non c'è una continuità storica, dal punto di vista dell’azione politico-sindacale sull’ambiente di lavoro, tra queste due epoche, la seconda nasce dopo la crisi e la fine della prima, ma forse il recupero dello spirito di quelle esperienze può essere il motore capace di dare quel valore aggiunto che fino ad oggi è mancato nell'applicazione della legislazione sulla prevenzione e protezione sul lavoro.

 

La fabbrica e l'accademia uno dei 4 saggi che compongono il volume ripropone la rilettura di ampi stralci della dispensa “Ambiente di lavoro”, pubblicata a cura dei tre sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm (FLM) nel 1970 (1), descrive il modello di intervento sindacale costruito nelle esperienze degli anni '60 che ha rappresentato per il sindacalismo degli anni '70 e '80 il modello prevalente di intervento e di formazione dei lavoratori.

 

Il fil rouge che lega i quattro saggi raccolti nel volume è rappresentato dalla proposta metodologica di un modello di analisi ergonomica di tipo sociologico-partecipativo, che tende a ridimensionare la figura del “tecnico” che in questi anni ha assunto un ruolo preponderante. L’ “esperto” che deve adeguare le aziende alla normativa ha finito per emarginare i lavoratori che hanno delegato a loro, al legislatore e alla magistratura la ricerca di soluzione ai problemi presenti nel luogo di lavoro: un ruolo da ridimensionare a favore di una maggiore partecipazione dei lavoratori.

 

Il modello di analisi e intervento che viene proposto ha origine in quelle esperienze sindacali degli anni ’60, e può trovare diversi punti di riscontro con la successiva legislazione italiana (il D.Lgs.626/94 ed in particolare con il D.Lgs.81/08), tra questi vengono evidenziati i temi della centralità della valutazione dei rischi, della rappresentanza e partecipazione dei lavoratori alla soluzione dei problemi, del ruolo della formazione, l'importanza della raccolta sistematica e dell'analisi dei dati per una efficace indagine sanitaria.

 

Non v’è dubbio che la storia sindacale, nel nostro paese, abbia influenzato la normativa che prenderà avvio alla fine del secolo, se nel 1985, con un decennio d’anticipo sul D.Lgs.626, Renzo Raimondi poteva scrivere “è forse anche utile ricordare che in Italia, a differenza di altri paesi industriali, i miglioramenti nelle condizioni di lavoro si sono determinati non tanto per l’intervento legislativo e degli organi di controllo pubblico quanto piuttosto come risultato dell’intensa dinamica contrattuale che ha interessato l’intero tessuto industriale.

 

Alcune linee guida, molto diverse da quelle del passato e da quelle di altri paesi come, ad esempio, quelle del rifiuto della monetizzazione della salute, della non delega, del ruolo centrale del gruppo omogeneo dei lavoratori nell’analisi e validazione dell’ambiente, hanno diretto l’azione sindacale in materia durante tutti gli anni ‘70”.(2)

 

Negli anni ’80 l’attenzione all’ambiente e all’organizzazione del lavoro lascerà spazio a nuovi problemi quali la crisi dell’unità sindacale, la ristrutturazione industriale e i problemi occupazionali. Dovranno arrivare, a partire dagli anni ’90, le norme legislative a porre nuovamente all’ordine del giorno le tematiche della sicurezza sul lavoro.

 

Va riconosciuto che la normativa europea, da cui promana l’attuale legislazione italiana, si è per un verso contraddistinta per un approccio “partecipativo” mentre per altro verso ha tendenzialmente “messo nell’angolo” la contrattazione collettiva come potenziale fonte di standard minimi di tutela, lasciandole di fatto un ruolo ben più marginale di previsione di regole (e pratiche) “virtuose”, ma che vengono per così dire in seconda linea rispetto all'adeguamento richiesto agli standard obbligatori di tutela. (3)

 

Nel 2011 ci ha lasciato Ivar Oddone, un maestro di prevenzione per la mia generazione, era stato partigiano, Commissario delle Brigate Garibaldi, Italo Calvino ne "Il sentiero dei nidi di ragno" ci racconta del commissario KIM (era Ivar Oddone). Insieme a Gastone Marri (anch’egli scomparso, nel 2006) sono stati i teorici e protagonisti del modello sindacale per il controllo dell'ambiente di lavoro, in una stagione di lotte e crescita del movimento dei lavoratori, che ha visto la conquista dello statuto dei lavoratori(4) ed è terminata con l'estensione del Servizio Sanitario Nazionale a tutti i cittadini Italiani(5). Una stagione iniziata negli anni ’60 e conclusasi negli anni ’80 del secolo appena trascorso, un periodo in cui si è consumata “l’utopia”(6) dei consigli di fabbrica(7), della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'azienda, della riappropriazione del proprio lavoro.

 

Nel 1970 Ivar Oddone e Gastone Marri curano la pubblicazione della famosa dispensa “Ambiente di lavoro” recuperando insieme a un gruppo di operai della 5.a Lega di Mirafiori l'esperienza delle lotte operaie degli anni '60: un vero e proprio manuale per i delegati dei consigli di fabbrica per tutti gli anni '70 e i primi anni ottanta, tradotta in molte lingue ed ancora attuale!

 

La dispensa è figlia dello spirito degli anni ’60, “dal ‘68 in poi si avverte un salto di qualità: la contestazione, lo spontaneismo, la soggettività operaia sfidano il sindacato costringendolo ad uscire dall’arco tradizionale delle sue rivendicazioni… si cerca un rapporto dinamico e costante con il maggior numero possibile di lavoratori, anche con i non iscritti. Nascono così nuovi strumenti rappresentativi: i delegati (di reparto, di linea, di squadra, di cottimo ecc.)… I lavoratori sentono che qualcosa sta cambiando, non solo in conseguenza del ripensamento e della rifondazione dei rapporti con i vertici confederali, ma anche perché scorgono in questi mutati rapporti la possibilità di incidere concretamente, nei luoghi di lavoro, tramite nuovi elementi di democrazia diretta, su tutti gli aspetti disumanizzanti dell’organizzazione scientifica del lavoro. Tempi, ritmi, cottimi, nocività degli ambienti, organici, zone salariali ed altri problemi vengono riproposti da un diverso punto prospettico: chi parla non è una organizzazione più o meno funzionale alla logica di un sistema basato sulla competitività, ma sono gli stessi lavoratori riuniti in piccoli gruppi omogenei (linea, squadra, reparto)(8)”. La dispensa non nasce quindi da una élite intellettuale, ma dall’esperienza del “gruppo operaio” ed in questo troviamo già un primo elemento metodologico di fondamentale importanza.

 

Oddone e Marri introdussero nel dibattito sindacale il concetto fondamentale della "non delega" intesa come "l’assunzione fino in fondo, da parte dei lavoratori, della responsabilità della propria salute".

 

Concetti e metodologie ancora oggi attuali: negli anni successivi, quando la spinta dei lavoratori si affievolirà(9), rriverà come frutto tardivo dell’esperienza di quegli anni, nel 1994 il d.lgs. 626 sostituito nel 2008 dal testo unico (D.Lgs.81). Quelle norme porranno al centro delle attività di prevenzione la valutazione dei rischi. La metodologia proposta da Oddone e Marri, basa sul riconoscimento dei 4 gruppi di fattori di rischio presenti negli ambienti di lavoro il proprio baricentro, la conoscenza dei fattori di rischio permette ai lavoratori organizzati nel gruppo omogeneo di raccogliere, a partire dalle loro esperienze, le percezioni sul loro ambiente di lavoro, operando una diagnosi che consentirà agli stessi lavoratori di esprimersi e confrontarsi con il datore di lavoro e con gli “esperti” eventualmente chiamati ad effettuare la valutazione del rischio ambientale: partecipare alla valutazione e contrattare le proposte di soluzioni ai problemi ambientali su un piano di parità e non subendo un'impostazione calata dall'alto dai “tecnici”.

 

L’impostazione adottata presuppone che i lavoratori assumano su di sé l'onere di avviare e controllare il processo di valutazione e vengano messi in condizioni di esprimere le proprie esperienze e percezioni sull’ambiente di lavoro, proprio questa percezione consentirà una valutazione preliminare del rischio. La filosofia che sottende il procedimento di valutazione si caratterizza per l'elevato grado di coinvolgimento dei soggetti che fanno parte dell'ambiente oggetto di valutazione riprendendo e adattando i principi della action research(10), autogestita dal gruppo omogeneo di lavoratori che finalmente si emancipa dal ricercatore esterno al gruppo stesso: è dal confronto tra la “fabbrica” e l’ “accademia” che deve avviarsi il processo di valutazione dei fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro. Il passo successivo consisterà nel mettere in condizioni i lavoratori di intervenire nella ricerca di soluzioni ai problemi ambientali, individuati anche attraverso la loro percezione, e partecipare a riprogettare l'organizzazione del lavoro, secondo i bisogni espressi.

 

Questa impostazione epistemologica è il filo rosso che ci può permette di rileggere gli accadimenti di questo ultimo mezzo secolo e di indicare una metodologia ergonomica che possa essere condivisa da tutti i soggetti interessati: datori di lavoro, lavoratori, tecnici/ergonomi.

 

La dispensa sull’ambiente di lavoro. (11)

 

A ben guardare troviamo nella dispensa anticipati molti dei temi che a distanza di anni verranno ripresi dal D.Lgs. 626/94 prima e dal D.lgs. 81/08 poi: la centralità della valutazione dei rischi, la formazione dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, l'organizzazione del servizio di prevenzione e protezione, il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori.

 

L’approccio proposto ha come obiettivo la contrattazione delle condizioni di lavoro ai fini della eliminazione della nocività ambientale nel mondo del lavoro. Per ambiente di lavoro, gli autori, intendono l'insieme di tutte le condizioni di vita presenti sul posto di lavoro:

 

  • caratteristiche dei locali come dimensioni, illuminazione, aerazione, rumorosità, presenza di polveri, di gas o vapori, di fumi, ecc.;

  • elementi connessi all'attività lavorativa vera e propria quali tipo di lavoro, posizione del lavoratore, ritmo di lavoro, saturazione dei tempi, orario di lavoro giornaliero, turni, orario settimanale, estraneità e non valorizzazione del patrimonio intellettuale e professionale.

 


 

 

Gli autori specificano come ai fini della contrattazione dell'ambiente di lavoro sia necessario “analizzare i fattori che lo compongono secondo un modello di analisi che abbia come elemento di riferimento il punto di vista dell'uomo che lavora o meglio del gruppo operaio interessato al processo produttivo.”

 

La dispensa si fa carico di indicare un modello di analisi comune, in grado di utilizzare un linguaggio uguale per tutti il lavoratori che permetta di confrontare esperienze diverse tra lavoratori di aziende diverse e di generalizzare situazioni e soluzioni. Il modello proposto deve essere utilizzabile da qualunque lavoratore a prescindere dalla sua scolarità.

 

Oddone e Marri individuano due criteri in base ai quali costruire uno schema di analisi:

 

  • iI primo rappresentato dalla possibilità di misurare l'intensità di un fattore con mezzi oggettivi o meno (es. il termometro per misurare la temperatura ovvero l'intensità dei ritmi di lavoro per i quali non esiste uno strumento di misura);

  • il secondo rappresentato dalla esistenza o meno di una fascia di valori ottimali per un dato fattore (es. la temperatura per la quale esiste un massimo ed un minimo entro i quali l'uomo si trova nelle migliori condizioni ovvero la silice dove solo il valore zero rappresenta la situazione ottimale.

  • I due criteri combinati tra loro permettono di individuare quattro gruppi di fattori di rischio che possono essere presenti nell'ambiente di lavoro:

  • - il primo gruppo comprende quei fattori presenti anche negli ambienti di vita esterni all’azienda (es. luce, rumore, temperatura, umidità e ventilazione);

  • - il secondo gruppo comprende quei fattori caratteristici degli ambienti di lavoro (es. polveri, gas, fumi);

  • - il terzo gruppo è rappresentato dalla fatica fisica; - infine il quarto gruppo comprende i cosiddetti fattori psico-sociali, che possono determinare effetti stancanti (es. monotonia, ripetitività, ritmi eccessivi, saturazione dei tempi, posizioni disagevoli, ansia, responsabilità, frustrazioni, e tutte le altre cause diverse dal lavoro fisico).

 

Gli strumenti.

 

L’ergonomia, scienza moderna, studia l'adattamento del lavoro all'uomo. Gli autori indicano due diverse tendenze idealtipiche presenti nell’ambito della comunità scientifica:

 


 

 

1. Sfruttare l'ergonomia soltanto in senso correttivo, ovvero solo per modificare strumenti, utensili, ed arredi, per renderli più funzionali, senza modificare sostanzialmente il rapporto tra il lavoratore e il suo ambiente di lavoro. Il limite di questa visione dell’ergonomia è rappresentato dalla progettazione dei processi ad opera di tecnici ed “esperti” (psicologi, sociologi, medici del lavoro, ecc.) con l'obiettivo di eliminare l’utilizzo di forza-lavoro non necessaria alla produttività. Gli effetti sull'uomo di questa impostazione è un continuo ed ulteriore aumento di importanza del quarto gruppo di fattori di rischio (fattori psico-sociali) in cambio di una minore fatica fisica.

 

Per correggere gli effetti negativi dell'impostazione che è stata definita “scuola classica dell'organizzazione” nata con il taylorismo, già verso la metà degli anni 30 prendono piede studi che vanno sotto la definizione di scuola delle relazioni umane, il cui merito storico è di aver “scoperto” l'importanza del fattore umano ed aver messo in luce che gli uomini hanno un retroterra psicologico da cui non si può prescindere(12). Questi studi, cui seguiranno le teorie motivazionali, porteranno le aziende più “illuminate”, avendo compreso l'influenza negativa del lavoro parcellizzato, ad avviare piani di "job enlargement" (ampliamento e ricomposizione del lavoro), che non significa un ritorno a sistemi di produzione artigianali, ma un rimedio contro gli eccessi della divisione del lavoro, che comunque non potranno mai arrivare alla completa soluzione del problema. “Considerare l'uomo come se fosse una macchina utensile, anche se la manutenzione di questa macchina è affidata a tecnici altamente specializzati, non può garantire la salute del lavoratore”. Rimarrà comunque un carico di insoddisfazione, tensione ed angoscia non compensato dalla capacità di adattamento dell'uomo al lavoro.

 


 

 

  1. A questa tendenza si contrappone un modello alternativo che vorrebbe un ambiente di lavoro dove sia assente ogni fattore nocivo e siano soddisfatte le esigenze dell'uomo. Alternativa che prevede la socializzazione e l’utilizzazione da parte del lavoratore, delle scoperte scientifiche (dalla psicologia, alla sociologia, alla medicina del lavoro). La socializzazione delle conquiste scientifiche diventa possibile solo se il lavoratore viene coinvolto, ascoltato e diventa protagonista di una propria ricerca nella costruzione dell’ambiente di lavoro, da confrontare ed eventualmente contrapporre a quella dei “tecnici”: cambiare l'ambiente di lavoro è possibile.

 


 

 

Anche nelle aziende dove la prestazione richiesta è molto meccanizzata, è sempre richiesto, e comunque utile, un contributo “inventivo” del lavoratore. Ogni azienda è un unicum irripetibile di organizzazione, di risorse, di cultura, di obiettivi. Il Taylorismo prima ed il Fordismo poi attraverso i principi dello scientific management vorrebbero poter applicare ad ogni situazione simile le stesse regole e gli stessi principi, trascurando il “fattore umano” e l’evoluzione storica, una interpretazione assolutistica di quei principi mal si addice all’unicità di aziende che puntino a sviluppare un progetto di qualità, prima se non in alternativa alla quantità. Per ottenere il massimo della qualità è necessario poter utilizzare tutta la creatività, l’intelligenza, l’entusiasmo dei lavoratori. Per questo è fondamentale che nella gestione dello spazio organizzativo il lavoratore avverta: rispetto, coinvolgimento, responsabilizzazione.

 

Senza la partecipazione dei lavoratori nella costruzione del proprio ambiente di lavoro l’obiettivo finale dell'ergonomia sarebbe rappresentato, nella migliore delle ipotesi, dalla "stalla modello".

 

Un esame attento dell'impostazione ergonomica di Oddone e Marri ci fa rilevare come i loro modelli organizzativi vadano oltre le teorie motivazionali affermatesi a partire dagli anni ’50 come risposta al crescente rifiuto della manodopera esecutiva ai lavori parcellizzati e ripetitivi, attraverso forme di protesta individuale e prepolitica (turnover, assenteismo ecc.) fino a strategie organizzate di lotta collettiva su piattaforme rivendicative che includono la riprogettazione globale della organizzazione del lavoro, con un maggior rispetto della salute psico-fisica dei lavoratori.(13)

 

Le teorie motivazionali avevano rappresentano il superamento della scuola delle relazioni umane attraverso affermazioni come:

 

- gli interessi umani dei dipendenti sono intrinsecamente contrapposti a quelli delle aziende organizzate in modo “tradizionale”;

 

- gli interventi puramente psicologico-ambientali per smussare il contrasto non sono altro che manipolazioni dei dipendenti operate ad esclusivo vantaggio dell’azienda;

 

  • l’unico modo per superare il contrasto consiste nel riprogettare completamente l’organizzazione del lavoro ...(14)

 

Il modello proposto nella dispensa sull'ambiente di lavoro può sembrare accordarsi con le teorie di Likert che in quegli stessi anni individuava nel progressivo passaggio, in ogni azienda, verso un modello di organizzazione partecipativo di gruppo, con una grande differenza: mentre Likert immagina questo processo di riorganizzazione con un orientamento filo-manageriale che deve realizzare una maggiore responsabilizzazione e risultati produttivi qualitativamente superiori, senza porsi il problema del potere in termini potenzialmente alternativi, per gli autori della dispensa sono i lavoratori che organizzati dal sindacato debbono imporre il loro modello partecipativo nella gestione delle condizioni di lavoro per eliminare tutte le cause di nocività del lavoro. L'esperienza sindacale del movimento operaio italiano che ha ispirato la dispensa sull'ambiente, può essere vista in una strategia più ampia (rispetto alla semplice richiesta di nuovi modi di lavorare) affinchè la riprogettazione organizzativa diventi l'occasione per una sempre maggiore partecipazione politica dei lavoratori al processo produttivo, per uno spostamento sostanziale dei rapporti di forza all'interno delle aziende e nella società civile.(15)

 

L'organizzazione sindacale deve promuovere un’azione nella direzione del modello ergonomico che abbiamo evidenziato con il punto 2, le tappe intermedie e i risultati devono affermare progressivamente l'intervento dei lavoratori sul proprio ambiente di lavoro. Il gruppo omogeneo, affiancando l’equipe dei tecnici, deve partecipare attivamente con gli strumenti della "validazione consensuale" e della "non delega", alla soluzione dei problemi di nocività ambientale, deve poter partecipare alla scelta dei modi di produzione, all’organizzazione del lavoro e alla tecnologia produttiva.

 

Prima che l'organizzazione scientifica del lavoro definisse la fisionomia dell'ambiente di lavoro, il lavoro era caratterizzato dalla totale mancanza di considerazione per le esigenze dell'uomo: non esisteva nessun limite alla richiesta di prestazioni, all'età, né la resistenza al freddo, al caldo, alla durata dell'orario, ai rumori, all'umidità, alla concentrazione delle sostanze nocive. In quella situazione si concentravano valori insopportabili di tutti i fattori appartenenti ai primi tre gruppi di fattori nocivi; i fattori del quarto gruppo non potevano neppure essere considerati.

 

L'organizzazione scientifica del lavoro, ha determinato un aumento di produttività del lavoro dell’uomo e l'eliminazione di tutti “gli sperperi di energia” non utilizzati a fini produttivi: a questa nuova situazione ha corrisposto una decisa riduzione di importanza dei fattori nocivi del primo, del secondo e, relativamente, del terzo gruppo; mentre ha assunto una maggiore importanza il quarto gruppo di fattori di nocività (questa tendenza si è consolidata con l’introduzione delle tecnologie informatiche nelle aziende).

 

La tendenza dei sostenitori del modello ergonomico che abbiamo descritto al punto 1 è quella di provvedere alla massima cura, sul piano medico e psicologico, della “macchina uomo”. L'alternativa proposta nella “Dispensa” è rappresentata da una classe lavoratrice nel ruolo di protagonista nella ricerca scientifica: è al gruppo omogeneo interessato, con l'aiuto di medici, psicologi, sociologi ed altri tecnici, che compete il compito di socializzare le scoperte scientifiche ed in questo senso diventa decisiva la funzione dirigente delle organizzazioni sindacali nell'organizzare gli obiettivi contrattuali e la conquista degli strumenti necessari all'emancipazione dei lavoratori.

 


 

 

La raccolta delle informazioni per il controllo della nocività ambientale.

 


 

 

Per poter controllare l’ambiente di lavoro, la dispensa ci propone un modello di gestione delle informazioni centrato su un’ampia partecipazione dei lavoratori guidata e stimolata dall’organizzazione sindacale. Il modello necessario per conoscere l’ambiente che si vuol controllare anticipa i temi della valutazione dei rischi e della sua documentazione (Documento di Valutazione del Rischio e Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenza) oltre che del monitoraggio delle condizioni di salute dei lavoratori (ruolo del Medico Competente). Nella “Dispensa” si da l'indicazione di raccogliere diverse tipologie di informazioni:

 


 

 

1. informazioni qualitative, ovvero quali fattori nocivi alla salute sono presenti nell'ambiente di lavoro (ad es. silice, temperatura elevata, illuminazione scarsa, rumori, ritmi elevati ecc.;

 

2. informazioni quantitative, ossia in quale quantità sono presenti i fattori nocivi (ad es. quanto rumore espresso in decibel c'è, quale intensità luminosa espressa in lux, quanta silice espressa come numero di particelle presenti in una data quantità d'aria, ecc.);

 

3. informazioni sugli effetti e sulle possibili modificazioni della salute dei lavoratori (ad es. malattie, infortuni, disturbi vari, numero di assenze, ecc.).

 

 

 

Il problema della conoscenza qualitativa e cioè della presenza di fattori nocivi può essere risolto attraverso la combinazione di varie vie, tra queste l 'osservazione spontanea è uno strumento importante: la prima segnalazione della presenza di sostanze nocive o situazioni nocive può venire dalla stimolazione sensoriale degli operai (odorato, gusto, vista, udito).

 

Questa via può segnalare la presenza di una sostanza, ma non la identifica, sarebbe però un errore sottovalutarne l'importanza, perché può rappresentare il punto di partenza di una azione di ricerca. II lavoratore in genere esprime uno stato di disagio attraverso espressioni spontanee, disordinate, senza concatenazione di causa ed effetto, del tipo: “c'è un caldo infernale, un rumore assordante, divento matto, aspetto solo la domenica per dormire, nel mio reparto ci sono cinque infortuni alla settimana”; espressioni che individuano, meglio di ogni altra analisi, una situazione ambientale nociva e/o stressante.

 

L’informazione di natura quantitativa necessita di misurazioni che richiedono l’intervento di tecnici, in questo caso, come già affermato occorre tenere in considerazione diversi elementi quali ad es. la concentrazione di sostanze presenti, la fatica fisica richiesta, l’esposizione durante l’orario di lavoro.

 

La terza tipologia di informazioni riguarda gli effetti biologici, i disturbi, le malattie sofferte dal gruppo omogeneo interessato; anche in questo caso la testimonianza e l'osservazione costante dei disturbi accusati dal gruppo è una misura scientifica che riassume l'esperienza nel tempo di lavoratori esposti alla medesima situazione. L'importanza dell'esperienza del gruppo omogeneo sottolinea il significato “scientifico” del concetto della «non delega».

 

Anche le osservazioni che possono apparire marginali, non utili, possono contribuire ad individuare un effetto dell'ambiente di lavoro sulla salute dei lavoratori, occorre sempre aver presente che gli effetti nocivi che compaiono dopo molto tempo, anche anni, sono quelli che più facilmente possono sfuggire alla rilevazione e sono quelli che si possono sommare e confondere con effetti dovuti all’ambiente extra lavorativo.

 

Un buon medico, ci dicono Oddone e Marri, deve imparare ad utilizzare il gruppo omogeneo (non il singolo lavoratore), ad affinarne le capacità di segnalare i disturbi, per avere a disposizione uno strumento diagnostico di grande efficacia.

 

“Nello studio dei rapporti fra malattia ed ambiente, non sono i disturbi accusati dal singolo ad assumere un ruolo determinante, ma quelli accusati dal gruppo. Il criterio epidemiologico e cioè il criterio secondo cui si studia l'evoluzione e il comportamento della malattia non a livello del singolo individuo, ma a livello del gruppo, è usato certamente da secoli nella osservazione spontanea del gruppo operaio interessato.”

 

Per secoli la silicosi è stata interpretata come una malattia causata dalla polvere delle miniere, dagli stessi operai, mentre ancora nel ventesimo secolo, la medicina ufficiale trovava eminenti specialisti disposti a sostenere che si trattava di una particolare forma di tubercolosi non di una malattia dovuta alla silice.

 

Il ruolo dell’organizzazione sindacale deve tendere a trasformare l’osservazione spontanea e la denuncia dei lavoratori in uno strumento di conoscenza: dopo la prima fase spontanea si deve poter passare alla fase dell’indagine utilizzando questionari standardizzati, sul modello di analisi dei quattro gruppi di fattori proposti.

 

L’uso di questionari standardizzati consente di:

 

  • raccogliere informazioni confrontabili che permettono una visione della nocività che va oltre il singolo gruppo omogeneo;

  • generalizzare, attraverso la suddivisione dei fattori ambientali in quattro gruppi e dal modo in cui sono sollecitate le risposte, una visione unitaria della nocività e delle sue cause;

  • ad evidenziare elementi comuni di esperienze diverse.

 


 

 

In altri termini la standardizzazione di modelli di raccolta delle informazioni consente di valutare situazioni anche molto diverse con lo stesso schema di riferimento, permette di raccogliere elementi di giudizio validi e confrontabili fra loro, consentendo di generalizzare proposte di soluzione dei problemi della nocività ambientale comuni in situazioni diverse.

 

Qualunque indagine richiede preliminarmente un'informazione da erogare al gruppo omogeneo interessato all’indagine, ed una visione globale dei problemi della nocività ambientale da parte di chi porge il questionario, che presuppone sempre una ricerca sui dati tecnologici e merceologici da realizzare in collaborazione con i lavoratori interessati (action research).

 

Per passare dall’osservazione spontanea alla conoscenza scientifica gli autori della “Dispensa” propongono un modello di analisi, realizzata con indagini che si basi su due strumenti fondamentali di raccolta delle informazioni: il registro dei dati ambientali ed il registro dei dati biostatistici.

 

Questi due registri non debbono essere calati dall'alto, ma “rappresentano la traduzione in termini di acquisizioni metodologiche scientifiche rigorose della osservazione spontanea” dei lavoratori, i loro contenuti ed il loro utilizzo devono essere coerenti con l'osservazione spontanea e con il modello fin qui descritto della partecipazione e della validazione consensuale.

 

Sul registro dei dati ambientali vengono memorizzate le condizioni ambientali, la presenza dei singoli fattori di nocività, divisi per reparto/ufficio e/o gruppo omogeneo, per ciascun ambito lavorativo verrà stabilita la periodicità dei controlli sui diversi fattori nocivi, i punti e le modalità di rilevazione/stima: i risultati del controllo devono sempre essere efficacemente comunicati al gruppo omogeneo interessato. Una forma suggerita di comunicazione efficace viene indicata da Oddone e Marri in tabelloni esposti nei reparti/uffici che sintetizzino le modalità seguite, i punti di rilevazione e i risultati delle rilevazioni.

 

Al Consiglio dei delegati,(16) un organismo di rappresentanza e di partecipazione dei lavoratori che sulla spinta dell'autunno caldo e nel pieno della contestazione studentesca(17) sostituirono le vecchie rappresentanze sindacali delle commissioni interne, viene assegnato il compito di stimolare il gruppo omogeneo ad organizzare, in conseguenza delle indicazioni fornite dalle osservazioni spontanee, i due registri e degli altri eventuali strumenti di registrazione della nocività e degli effetti riscontrati.

 

Sul registro dei dati biostatistici vengono riportati i dati relativi allo stato di salute dei lavoratori (anche questi suddivisi per reparto/ufficio e/o gruppo omogeneo):

 

  • dati desunti dalle visite eseguite dal Medico Competente (anamnesi o storia dell'individuo relativa ai momenti essenziali della sua vita, sviluppo fisico e psichico, malattie sue e della famiglia, ambiente di vita e lavoro, precedenti, esame obbiettivo completo);

  • esami eseguiti dal momento dell'assunzione;

  • assenze dal lavoro, infortuni, malattie e le loro cause.

 

Il registro dei dati biostatistici così organizzato permetterà di elaborare i dati in modo da evidenziare mansioni/lavorazioni che comportino disturbi o malattie con frequenze superiori alle frequenze medie attese che possano essere associate alle condizioni ambientali cui si è sottoposti durante l’orario di lavoro. In questo modo il registro diviene lo strumento essenziale per studiare l’insorgenza di malattie correlate all’ambiente di lavoro.

 

Oltre i due registri descritti che possono fornire la storia delle condizioni ambientali e della salute del gruppo omogeneo, il movimento sindacale deve rivendicare l’ istituzione di un libretto di rischio individuale che conterrà le informazioni sulla storia del rischio al quale, durante l'intera vita lavorativa ciascun lavoratore è stato esposto.

 

Questo libretto è destinato secondo gli autori ad essere conservato dal lavoratore, e vi dovranno essere registrati:

 

1. le mansioni svolte durante l'attività lavorativa;

 

2. le caratteristiche degli ambienti lavorativi;

 

3. i tempi di esposizione;

 

4. i dati relativi alle misurazioni delle sostanze nocive cui si è stati esposti (concentrazioni delle polveri, vapori, gas, ecc.);

 

5. l'intensità degli altri fattori ambientali (temperatura, umidità, rumore, ecc.);

 

6. i risultati delle visite preventive e periodiche, i dati clinici, radiologici, di laboratorio e i risultati delle prove funzionali.

 

I dati così registrati costituiranno un formidabile strumento per la diagnosi delle malattie professionali.

 

Senza le informazioni contenute nel libretto di rischio individuale, è impossibile diagnosticare malattie aspecifiche che insorgono come effetto dell'ambiente di lavoro.

 


 

 

Il sistema di controllo della nocività ambientale è quindi rappresentata dai due registri (ambientale e biostatistico) e da due libretti individuali quello di rischio appena descritto ed un libretto sanitario (già esistente negli anni in cui viene concepita la “Dispensa” in alcune mutue aziendali).

 

I due libretti individuali sostanzialmente ripetono a livello individuale il contenuto dei due registri(18)

 

I dati raccolti con il sistema descritto permetterà tra l’altro giudizi e confronti tra ambienti di lavoro diversi appartenenti allo stesso comparto produttivo, e la valutazione dei risultati ottenuti ai fini del controllo della nocività, dall’introduzione di nuove tecnologie e processi organizzativi.

 


 

 


 

 


 

 

Il principio della “non delega” e gli strumenti della contrattazione.

 


 

 

Il passaggio dalla denuncia ad un controllo efficace della nocività ambientale passa innanzitutto attraverso la partecipazione attiva e cosciente del gruppo omogeneo interessato, solo all'interno del luogo di lavoro si può realizzare in maniera costante ed efficiente, un’azione di prevenzione e protezione: occorre, secondo gli autori della dispensa, realizzare il principio della «non delega» che significa non affidare completamente ad altri il controllo degli effetti nocivi sul proprio lavoro.

 

La «non delega» viene descritta come un processo continuo di conoscenza dell’ambiente di lavoro, di controllo degli “strumenti” che debbono mantenere alto il livello di salute dei lavoratori (strumenti sindacali, giuridici, sanitari, ispettivi, di ricerca scientifica, previdenziali e assistenziali).

 

«Non delega» è un processo continuo di conoscenza per il controllo e la contrattazione delle condizioni di lavoro, da parte dei gruppi di lavoratori interessati ad un determinato processo produttivo insieme ai Consigli dei delegati (sostituiti dalle RSU).

 

«Non delega» significa che il gruppo omogeneo interessato ad un processo produttivo deve porsi il problema del controllo della nocività ambientale come protagonista di un’azione di contestazione continua con l'obiettivo di realizzare un ambiente di lavoro a misura d'uomo, e la completa eliminazione della nocività.

 

Per raggiungere questi obiettivi le organizzazioni sindacali negli anni '70 si erano dotate di strumenti unitari:

 

1. il Delegato di gruppo omogeneo (di reparto, di linea, di squadra, di sezione, di ufficio) con il compito di intervenire nella contestazione e nella contrattazione di situazioni specifiche e fornire indicazioni di iniziativa sindacale;

 

2. il Consiglio dei delegati, formato da tutti i delegati eletti con il compito di promuovere e coordinare l’azione sindacale, che in stretto coordinamento con l'assemblea (alla quale si riconosceva un'importanza fondamentale), doveva assumere la responsabilità politica dell'elaborazione delle piattaforme rivendicative, della gestione delle lotte e delle trattative aziendali(19).

 

3. la Commissione ambiente, gruppo di lavoro costituito in seno al Consiglio dei delegati, con il ruolo esecutivo di coordinamento dei problemi dell’ambiente(20).

 

Il rapporto tra il gruppo omogeneo interessato, il proprio delegato, il Consiglio dei delegati e l'organizzazione sindacale è pregiudiziale per il controllo della nocività ambientale. Il sindacato deve avere sempre presente nella sua azione che il gruppo omogeneo interessato al processo produttivo è l'interlocutore cui si deve sempre far riferimento al fine di consentire al gruppo stesso di acquisire tutte le informazioni e la coscienza indispensabili per una capacità autonoma di contestare le condizioni di nocività ambientale. La "validazione consensuale" e la "non delega" non si realizzano spontaneamente; esse devono rappresentare un preciso obiettivo dell'azione sindacale.

 

L’organizzazione sindacale all’interno dell’azienda deve:

 

individuare i gruppi omogenei composti da tutti i lavoratori che nella squadra, nella linea, nell'ufficio ecc., si trovano “omogeneamente nelle stesse condizioni di sfruttamento”(21);

 

  • fornire i modelli di analisi della realtà ambientale;

  • strutturare su questo modello l'informazione raccolta dal gruppo in termini di osservazione spontanea;

  • utilizzare strumenti come i questionari, per raccogliere informazioni;

  • verificare attraverso la validazione consensuale i fattori di nocività, vissuti come prioritari dal gruppo;

  • ricercare insieme al gruppo le soluzioni;

  • costruire nella contestazione e nella contrattazione il sistema di controllo permanente.

 

Attraverso la raccolta dei dati ambientali e biostatistici, indici essenziali nella valutazione della nocività di un ambiente di lavoro, l’organizzazione sindacale deve aggregare le aziende dello stesso settore produttivo per elaborare ipotesi e rafforzare la validità delle proprie contestazioni. L'elaborazione dei dati a livello provinciale e nazionale permetterà di elaborare delle soluzioni contrattuali più generali, delle soluzioni tecnologiche, delle soluzioni legislative.

 


 

 

Strumenti metodologici.

 


 

 

IIl volume si chiude con alcune riflessioni, che meriterebbero un più ampio approfondimento, di carattere epistemologico e metodologico, l’intento è quello di suggerire un modello sociologico-partecipativo nell’analisi ergonomica degli ambienti di lavoro.

 

Un breve excursus nei modelli epistemologici della conoscenza sociologica da Nisbett a Feyerabend; i due autori con il quale si apre e si chiude questa breve parentesi epistemologica, sembra (vuole) essere una dichiarazione del punto di vista dell’autore. …

 

… la scienza in generale e le scienze umane in particolare realizzano i più significativi progressi sotto l’impulso di stimoli e per mezzo di procedimenti, che esse condividono con l’arte, mi riferisco all’atto della scoperta e del momento creativo che seguono un percorso comune sia nell’arte che nella scienza.(22) La scienza è anche una forma d’arte, così come l’arte essa descrive, con il linguaggio che le è proprio, il mondo in cui viviamo; è nelle rivoluzioni scientifiche, e nell’emergere di nuovi paradigmi che sostituiranno le vecchie credenze scientifiche, che appare più evidente il ruolo del pensiero creativo capace di distaccarsi da quella che è stata la scienza fino a quel momento per costruire nuove interpretazioni dei fatti posti sotto osservazione.

 

Scrive Nisbett nel riflettere sulle idee ritenute fondamentali nello sviluppo della sociologia, che nessuna di queste idee è storicamente il risultato dell’applicazione di quello che chiamiamo metodo scientifico. Al contrario ciascuna di queste idee sembrerebbe essere la conseguenza di processi intellettuali, che sono riferibili al pensiero artistico e creativo.(23)

 

Del resto sia nel Rinascimento che durante l’Illuminismo una radicale distinzione tra arte e scienza sarebbe stata incomprensibile. Nel diciannovesimo secolo c’imbattiamo in una crescente tendenza, iniziatasi con i movimenti sociali generati dalla Rivoluzione Francese e strettamente connessa con i processi di divisione del lavoro introdotti dalla Rivoluzione industriale, a presumere che l’artista e lo scienziato lavorino in modi che sono estranei, quando non addirittura antagonistici.(24)

 

Con Feyerabend, fautore dell’anarchismo metodologico, con il quale si conclude la parte epistemologica del volume, si nega che esista un metodo scientifico obiettivo, la cui pratica conduca necessariamente a risultati elevati.

 

Nisbett e Feyerabend sono il pretesto epistemologico con il quale si giunge a suggerire l’utilizzo della metodologia della Action research quale strumento per coinvolgere i lavoratori nella valutazione e nella ricerca ergonomica. Il modello partecipativo viene giustificato attraverso il riconoscimento del ruolo che ha il pensiero creativo nella scoperta di soluzioni ai problemi posti all’osservazione del ricercatore e nel riconoscimento di quello che è stato chiamato anarchismo metodologico. Dal punto di vista delle tecniche di analisi ergonomica il suggerimento della Action research o ricerca/intervento chiude il cerchio del modello proposto.

 

La ricerca sociale, finalizzata alle conoscenze ergonomiche, viene condotta principalmente per fare una "diagnosi", per conoscere una situazione, la “Action research” o “ricerca/intervento” non è altro che una particolare tipologia di ricerca sociale che si pone come obiettivo primario di modificare quella situazione, attraverso le conoscenze acquisite dagli stessi lavoratori mediante la ricerca di cui diventano protagonisti, stimolati dal ricercatore che diventa uno dei membri del gruppo.

 

La ricerca/intervento si differenzia sostanzialmente da altri tipi di ricerca sociale per la filosofia che sottende il procedimento di ricerca e nel grado di coinvolgimento dei soggetti (i lavoratori in questo caso) parte dell’ambiente di lavoro nel quale si sviluppa la ricerca con l’obiettivo di modificarne l’organizzazione del lavoro: la action research è progettata e condotta in modo collettivo.

 

Una applicazione del modello partecipativo proposto può trovare ampio spazio nella valutazione dei rischi e nelle proposte di intervento migliorative dell’ambiente di lavoro. La differenza, messa in luce, che si riscontra nell'adozione quotidiana delle diverse metodologie di valutazione dei rischi (Nel volume uno dei saggi è dedicato all’analisi dell’esperienza della Valutazione dello stress lavoro-correlato) sta proprio nel grado di adesione ad un modello partecipativo di analisi dove non si può prescindere dall'ascolto dei lavoratori, che non può che essere alternativo ai modelli osservazionali suggeriti dalla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro nella circolare del 18 novembre 2010, relativa alla valutazione dello stress lavoro-correlato, in attuazione di quanto previsto dal Testo unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro.

 


 

 

NOTE:

 

(1)Da una ricerca su internet sulla datazione della Dispensa sull'ambiente ne escono date generiche come “la fine degli anni 60” o il 1971 come data della prima ristampa. Nel mio ricordo ho nitido un volumetto stampato, di cui purtroppo non sono più in possesso datato 1970. Se il ricordo mi dovesse aver tradito me ne scuso con il lettore.

 

(2) Renzo Raimondi in D.De Masi, F.O. Buratto, A. Cascioli, G. De Santis, R.Raimondi, F. Vacirca, A.M. Ventrella - Il lavoratore post-industriale, Franco Angeli 1985.

 

(3)Gaetano Natullo, “Nuovi” contenuti della contrattazione collettiva, organizzazione del lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori - I WORKING PAPERS DI OLYMPUS – 5/2012

 

(4) L. 20 maggio 1970, n. 300

 

(5)L. 23 dicembre 1978, n. 833

 

(6)Utopia è qui utilizzato non nell’accezione di un’idea inrealizzabile, bensì come idea guida, obiettivo, progetto, desiderabile dal punto di vista ideale, da realizzare raggiungendo traguardi sempre più ambiziosi.

 

(7)Ci riferiamo qui non all’esperienza dei consigli di fabbrica dell’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci (biennio rosso 1919-1920) ma alla rinascita dei Consigli di Fabbrica alla fine degli anni Sessanta del Novecento, nati dall'esigenza politico-sindacale di una rappresentanza di base di tutti i lavoratori della fabbrica. Tale esigenza inizialmente raccolta dai sindacati confederali che, grazie allo Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) consolidavano e diffondevano come proprie rappresentanze i Consigli di fabbrica; successivamente vennero sostituiti con le Rappresentanze sindacali aziendali.

 

(8)Angelo Bonzanini, Il movimento sindacale in italia temi e momenti, Editrice Elia Roma 1974.

 

(9)Il 1984 vede il declino e la conclusione dell'esperienza sindacale unitaria che segue il taglio della scala mobile operato dal governo Craxi. Il disaccordo di CISL, UIL e alcuni sindacalisti socialisti della CGIL guidati da Ottaviano del Turco sul referendum richiesto dal PCI di Berlinguer per l'abolizione del provvedimento porterà allo scioglimento della Federazione CGIL, CISL, UIL

 

(http://it.wikipedia.org/wiki/Federazione_CGIL,_CISL,_UIL)

 

(10)L’action research o ricerca-intervento si pone come obiettivo primario di modificare una situazione attraverso le conoscenze acquisite mediante la ricerca. Ricerca sociale e ricerca-intervento si differenziano sostanzialmente per la filosofia che sottende il procedimento di ricerca e nel grado di coinvolgimento dei soggetti che fanno parte dell’ambiente di ricerca: una action research è progettata e condotta in modo collettivo.

 

(11)Il saggio costituisce una riproposizione, con la sola aggiunta di alcune notazioni, della dispensa su “L’ambiente di lavoro”: abbiamo riprodotto ampi stralci della dispensa, riproponendone una rilettura che attualizzandone il linguaggio (es. i riferimenti all’operaio sono stati mutati in riferimenti al lavoratore,) ne sottolinei la modernità e l’applicabilità al mondo del lavoro dei nostri giorni.

 

(12)Giuseppe Bonazzi, Dentro e fuori della fabbrica, Franco Angeli

 

(13)Giuseppe Bonazzi, op.cit.

 

(14)Giuseppe Bonazzi, op.cit.

 

(15)Giuseppe Bonazzi, op.cit.

 

(16)I Consigli dei delegati, come descritti nella dispensa del 1970 sono stati sostituiti dalle attuali Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU).

 

(17)Angelo Bonzanini, Il movimento sindacale in Italia temi e momenti, Editrice Elia Roma 1974

 

(18) Esempio del trasferimento dall'esperienza della Dispensa sull'ambiente di lavoro alla contrattazione sindacale la troviamo nel CCNL dei Poligrafici e Spettacolo per le Aziende editrici di giornali quotidiani del 14 giugno 1982 all'Art. 10 - Igiene del lavoro e tutela della salute. Seppure ad onor del vero si deve ricordare che nonostante la mobilitazione ed il tentativo di autorganizzazione di un gruppo di delegati delle aziende stampatrici romane quell'articolo non è mai stato pienamente realizzato e si è andato via via modificando, per aderire al D.Lgs.626/94 e al D.Lgs.81/08, fino all'attuale formulazione contenuta nel CCNL del 2008. Per un approfondimento sull'esperienza nel settore quotidiani si veda

 

Paolo Gentile, Una esperienza di intervento sull'ambiente di lavoro nel settore della stampa di giornali quotidiani. Su “La medicina dei lavoratori” 1983 N.3-4

 

(19)Angelo Bonzanini, op. cit.

 

(20)Le funzioni della commissione ambiente con la fine dell’esperienza dei Consigli dei delegati, dopo l’emanazione del DLgs.626/94 prima e DLgs.81/08, oggi sono svolte dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. Questi cambiamenti rispetto alla situazione decritta da Oddone e Marri possono considerarsi come un “compromesso al ribasso” del livello di partecipazione dei lavoratori.

 

(21)Secondo la definizione di Sergio Garavini riportata in Angelo Bonzanini, op.cit.

 

(22) Robert A. Nisbett, Socilogy as an Art Form. Da Pacific Sociological Review - Autunno 1962.

 

(23)Robert A. Nisbett, ibidem

 

(24)Robert A. Nisbett, ibidem

 


 

 


 

 


 

 

BIBLIOGRAFIA

 


 

 

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  • Domenico De Masi, La sociologia del lavoro in un mondo senza lavoro, su Sociologia del lavoro n.61, 1996 “I sociologi e il lavoro”.

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