L’ambito della ricerca proposta verte su un caso di studio in materia di integrazione socio-sanitaria per i servizi domiciliari forniti alle persone non autosufficienti, in una prospettiva di intervento volto ad assicurare l’integrazione tra gli elementi sanitari e quelli socio- assistenziali. Lo scenario temporale di riferimento è il primo decennio degli anni 2000, quando in seguito al varo della Legge quadro n° 328/ 2000 in materia di riordino dei servizi socio-assistenziali, le regioni italiane hanno concorso alla riorganizzazione della propria rete di servizi territoriali. L'analisi è improntata al campo delle politiche di assistenza domiciliare, viste sotto l’aspetto specifico del processo di contrattualizzazione che ha permeato sin dal 2000 l’intero assetto delle politiche socio-sanitarie con l’introduzione dei concetti di accreditamento e di quasi-mercato. I macro-obiettivi della ricerca vertono, infatti, sulla messa a confronto di realtà territoriali diverse e sulle scelte che conseguentemente i Comuni hanno adottato nello scegliere i modelli di intervento di politica sanitaria da perseguire, ponendo attenzione al problema delle risorse. In particolare, si prendono in esame, ponendoli a confronto, due strumenti di servizio, il Voucher socio-sanitario e il Budget di Cura, il primo sperimentato in quasi tutte le Asl della Regione Lombardia e il secondo sperimentato in alcuni ambiti territoriali della Regione Campania, in particolare nell’ambito territoriale coincidente alla Asl CE/2. L’obiettivo delle due misure è unanime ed è volto ad evitare e/o a ritardare l’istituzionalizzazione della malattia dei soggetti fragili non autosufficienti o affetti da patologie cronico-degenerative, mediante un percorso assistenziale riabilitativo individuale che li allontani dal ricovero ospedaliero. In entrambi i casi i servizi sono resi da enti for profit o dal terzo settore accreditati presso la Asl di competenza e che competono sul mercato per aggiudicarsi l’erogazione del servizio. In tali misure si manifesta uno dei più importanti aspetti della riforma del 2000, che pone come rilevante la dimensione della “contrattualizzazione” nell’implementazione delle politiche socio-sanitarie, rimarcandone la coerenza con l’obiettivo dell’ “integrazione”. Tale obiettivo consta nel bilanciare i compiti affidati ai vari ai vari livelli istituzionali, nel dare garanzia del rispetto del livelli essenziali ed uniformi dei servizi erogati sul territorio nazionale e, infine, nel protendere verso una convergenza delle materie. Il Piano di Zona è lo strumento che si è presentato più idoneo a creare un “governo integrato dei territori rispetto alle materie socio-assistenziali, le quali devono integrarsi con gli strumenti della programmazione sociale locale, soprattutto quelli inerenti alla materia sanitaria”. Gli strumenti che volgono all’integrazione sono la “programmazione partecipata” e la “concertazione”, che prevedono entrambe la partecipazione attiva del terzo settore nella produzione dei servizi ed una regolazione forte da parte della Pubblica Amministrazione, a garanzia dell’imparzialità fra i soggetti coinvolti e della qualità degli interventi. E, in linea con il principio di sussidiarietà orizzontale, i cittadini sono considerati come membri attivi della comunità locale, coinvolgibili nelle scelte pubbliche. Sul versante della “contrattualizzazione”, la riforma ha puntato, in primo luogo, all’utilizzo di strumenti contrattuali formalizzati, quali l’ “Accordo di programma”, il “Protocollo d’Intesa” ed altri strumenti di negoziazione. In secondo luogo, la riforma ha previsto due strumenti contrattuali distinti per l’erogazione dei servizi esternalizzati: l’ “accreditamento” e l’ “affidamento di servizi”. Quest’ultimo è un tipo di contratto che si stabilisce tra il soggetto pubblico e il soggetto privato ed in cui il soggetto pubblico sceglie il fornitore privato per l’erogazione del servizio, basandosi non sul criterio del minor prezzo, ma sull’offerta economicamente più vantaggiosa e l’unica competizione esistente è quella relativa all’accesso al mercato. L’accreditamento, al contrario, è un tipo di contratto che fa riferimento ad un “modello guidato dalla domanda”, in cui i produttori privati competono sul mercato per ottenere un appalto o una convenzione con l’amministrazione pubblica e combattono per accedere al mercato. Questa tipologia viene spesso designata con il nome di “contracting-out” e prevede due articolazioni, che sono il contratto orientato al modello neoclassico, basato sulla competizione e sul prezzo, e il contratto relazionale, basato su rapporti cooperativi e su legami fiduciari. Anche sul versante dei cittadini/destinatari dei servizi, la Riforma ha predisposto strumenti contrattuali volti a rafforzare la loro posizione nei confronti delle istituzioni e degli erogatori privati. L’imperativo è sempre quello di promuovere la “cittadinanza attiva” con l’intento di aprire al cittadino la possibilità di partecipare alle arene decisionali e di poterlo fare in maniera consapevole. Nel caso specifico, si assiste al processo di contrattualizzazione delle politiche socio-sanitarie, centrato sull’introduzione di particolari dispositivi contrattuali miranti alla “promozione della capacità dell’individuo”, dotandolo di opportunità e di competenze per entrare a far parte delle arene decisionali. L’individuo deve essere posto in grado di collaborare attivamente con altri erogatori alla produzione del proprio benessere e per tale ragione si punta alla realizzazione si “relazioni negoziali volte a creare o alimentare contrattualità”, stabilendo con il destinatario dei servizi rapporti individualizzati per fornirlo dei supporti di cui maggiormente necessita. Lo scopo dello strumento del Voucher, adottato in Lombardia e denominato dall’art. n°17 della Legge 328/2000 come “titolo per l’acquisto dei servizi sociali”, risiede nell’avvalorare la libertà di scelta del cittadino, il quale detiene la capacità contrattuale di scegliere l’erogatore da lui preferito, in un sistema che vede nella competizione sul mercato la garanzia di ottenere servizi di migliore qualità. La misura del Budget di Cura, adottata in Campania e che fa riferimento a progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati, è volta all’integrazione delle tre figure, che fanno capo all’erogatore accreditato, alla Asl e al beneficiario del servizio, oppure ad un suo familiare, con lo scopo di aiutare il destinatario ad riappropriarsi della contrattualità perduta, facendolo sentire partecipe nella produzione dei servizi di cui necessita e creando le opportunità per una sua reintegrazione nel contesto sociale in cui egli vive. Gli obiettivi delle due misure rispecchiano gli obiettivi perseguiti dalle politiche sociali che hanno preso avvio nelle due Regioni. Uno dei possibili sviluppi della ricerca porterà a rilevare se queste misure sono tutt’oggi attuate nelle realtà territoriali che la hanno viste nascere e se hanno avuto il loro seguito anche in ambiti territoriali di altre Regioni che le hanno prese come modello a cui far riferimento per l’implementazione delle proprie politiche socio-sanitarie.
Voucher socio-sanitario e Budget di Cura: cosa sono e a chi si rivolgono
Il Voucher socio-sanitario è un contributo economico non in denaro rivolto a tutti i soggetti fragili affetti da patologie cronico-degenerative finalizzato ad evitare o ritardare l’istituzionalizzazione dell’individuo non autosufficiente, consentendogli di ottenere supporto alla fragilità in casa propria. Esso viene elargito sotto forma di “titolo di acquisto” e può essere utilizzato esclusivamente per comprare prestazioni di assistenza domiciliare socio-sanitaria integrata (mediche, riabilitative, infermieristiche e di aiuto infermieristico) da soggetti (accreditati) pubblici e privati, profit e non profit svolte da personale professionalmente qualificato. Il soggetto destinatario dello strumento di intervento ha la facoltà di scegliere liberamente la modalità e gli erogatori dell’assistenza. L’erogazione deve essere accompagnata dalla formulazione di un Piano Assistenziale Individualizzato (PAI).
I Budget di Cura sono strumenti di intervento incentrati su progetti terapeutico-riabilitativi individuali rivolti a “soggetti affetti da disabilità sociale conseguente a malattie psico-organiche o a marginalità socio-ambientale per i quali è indispensabile fornire opportunità per la ripresa delle funzionalità psico-sociali.” Attraverso i budget di cura ci si propone di promuovere percorsi abilitativi per le persone che si trovano in condizioni di disabilità secondarie ed handicap psico-sociali ed istituzionali, che richiedono prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, al fine di creare le condizioni per la reintegrazione dell’individuo nel contesto sociale. Esse attengono alle seguenti aree: materno-infantile, anziani, handicap, dipendenze (da droga, alcool e farmaci), patologie conseguenti ad infezioni HIV, psichiatriche, cronico-degenerative ed in fase terminale. L’intervento viene incentrato su variabili socio-economiche ed ambientali, oltre che sulla cura.
Come funzionano
Per ottenere il Voucher socio-sanitario, l’unico requisito necessario è la condizione di fragilità dell’individuo richiedente, il quale può farne domanda presso la Asl di appartenenza. Non esistono, dunque, né limiti di reddito né di età. In Lombardia, il Voucher socio-sanitario consente l’acquisto presso un erogatore accreditato non di singole prestazioni, ma di un “pacchetto di servizi”, che propone una combinazione standard di interventi socio-sanitari per ciascuna tipologia da distribuire all’interno di ciascun mese. Esistono tre livelli di intensità dell’assistenza, che sono stati stabiliti in relazione alle risorse umane e alle tecniche impiegate, alla natura del bisogno ed alla complessità dell’intervento programmato. Essi attengono al “profilo di base” (voucher da 362 Euro), al “profilo pazienti complessi” (voucher da 464 Euro), al “profilo pazienti terminali” (voucher da 619 Euro). I soggetti interessati all’erogazione delle prestazioni domiciliari devono sottoscrivere con la Asl un “Patto di Accreditamento”, dimostrando di rispondere ad alcuni requisiti tecnici ed organizzativi di idoneità. Con l’introduzione del voucher nelle politiche socio-sanitarie si tenta di costruire un sistema di “quasi-mercato”, in cui l’utente ha la possibilità di scegliere l’erogatore di sua preferenza tra i diversi erogatori accreditati posti in competizione. In Lombardia si passa, nello specifico, da un “modello integrato”, incentrato sulla titolarità della funzione di erogazione in capo al soggetto pubblico, ad un modello contrattuale imperniato sulla separazione tra la funzione di “Programmazione-acquisto-controllo”, che rimane di competenza alla Asl, e la funzione di produzione, che viene, invece, affidata ai soggetti erogatori accreditati privati (non profit e profit) e pubblici. Il percorso assistenziale è diviso per tappe: il medico di base fa richiesta per il proprio assistito di Assistenza Domiciliare Integrata, l’Unità di Valutazione della Asl valuta il caso e decide, convenendo con il medico di base quali risposte risultano essere più idonee per soddisfare i bisogni dell’individuo. Se l’individuo rientra nell’utenza del voucher il caso viene collocato nel più consono livello di assistenza. L’Unità di valutazione è tenuta a stabilire anche gli obiettivi di cura che l’erogatore deve perseguire nell’offerta del servizio ed indica gli obiettivi del Piano Assistenziale Individualizzato (PAI), ma non concorre alla formulazione di quest’ultimo. A questo punto, all’utente e ai suoi familiari viene presentato l’elenco degli erogatori accreditati, tra i quali scegliere. La scelta dell’erogatore preferito da parte dell’utente deve avvenire senza l’esercizio di alcuna influenza operata dal servizio pubblico. Il personale addetto all’erogazione del servizio costruisce il Piano di assistenza personalizzato, finalizzato a raggiungere gli obiettivi indicati dalla Asl, in collaborazione l’utente ed i suoi familiari. Il soggetto erogatore, in accordo con il medico di base, rivaluta mensilmente il livello del voucher attribuito al beneficiario e, se lo ritiene necessario, richiede alla Asl la possibilità di cambiare il livello di assistenza. Allo stesso modo, l’utente ha ogni mese la possibilità di cambiare erogatore, qualora non fosse soddisfatto dell’assistenza ricevuta. Il monitoraggio della qualità del servizio ricevuto è affidato all’utente, al quale viene richiesto di compilare l’apposito questionario di customer satisftacion predisposto dall’amministrazione regionale. Dal canto loro, le Asl compiono controlli sulla realizzazione e sull’appropriatezza dei piani assistenziali. La presa in carico degli utenti in Budget di cura avviene su proposta delle persone interessate o dei responsabili dei servizi sociali e sanitari delle Asl oppure dei comuni di riferimento. Il servizio sociale svolge la funzione di accertamento sulle condizioni reali di disagio dei richiedenti e predispone una graduatoria di gravità dello stato del bisogno, prendendo come riferimento parametri ed indicatori relativi alla situazione sociale, economica ed ambientale e riguardo la malattia invalidante. I budget di cura vengono articolati su tre livelli di intensità (bassa-media-alta), in riferimento alla necessità riscontrata. Sulla base del livello di intensità, viene definito il progetto terapeutico riabilitativo al quale partecipano la persona titolare del budget di cura, la Asl, attraverso i referenti dei servizi sanitari, il Comune di residenza del titolare, che partecipa con proprie risorse alla loro realizzazione, attraverso i servizi sociali. La procedura di accreditamento avviene secondo la logica dell’idoneità di progetto. Il Patto di Accreditamento deve essere stretto di volta in volta sui singoli progetti terapeutici e gli erogatori privati che vogliono cogestire un Budget devono concorrere alla riabilitazione degli utenti, partecipando alla realizzazione del progetto individualizzato. E’ il titolare del budget di cura che viene ad essere identificato come lo standard di riferimento.
Luoghi di sperimentazione e ragioni della scelta
La sperimentazione del Voucher socio-sanitario è avvenuta in Lombardia, dove esso è stato introdotto in tutte le Asl territoriali a partire dal 1°luglio 2003. Tale data conclude un percorso di sperimentazione di questo strumento iniziato già anni prima. L'introduzione del Voucher socio-sanitario costituisce una tra le novità più note introdotte dalla giunta di centro-destra capeggiata da Formigoni, impegnata, sin dalla prima legislatura 1995-2000, a dare attuazione alla riforma sanitaria. La seconda legislatura 2000-2005 della giunta Formigoni si prefiggeva l'obiettivo di portare a compimento il processo di definizione introdotto dalla Legge regionale n°31/1997 e di rendere più espliciti i contenuti introdotti dalla legge regionale sulla famiglia n°23/1999. L'intento della giunta era quello di costruire un modello innovativo da proporre come riferimento per tutto il Paese. La responsabilità politica di questo percorso era stata assegnata all'Assessore alla Famiglia e alla Solidarietà Sociale, Gian Carlo Abelli. Il principale obiettivo della giunta regionale verteva sulla libertà di scelta del cittadino, il quale è preso in considerazione nelle due vesti di utente e di produttore di benessere. Il cittadino-utente detiene la facoltà di decidere sulla scelta dell'erogatore da cui ricevere il servizio, tra i diversi erogatori che competono nel quasi-mercato, mentre il cittadino produttore di benessere possiede la libertà di azione, che gli può permettere di “offrire egli stesso, singolarmente o come nucleo familiare altra aggregazione della società, prestazioni alla persona.” Rientra in quest'ultimo concetto la libertà per la famiglia di autosoddisfare i propri bisogni. Si vuole accrescere l'attenzione dedicata alla famiglia, considerandola un soggetto attivo di cui valorizzare le risorse. L'ente pubblico, si afferma, deve mettere la famiglia in condizione di sostenere i propri componenti, ma senza intervenire nel suo ambito di vita e di azione, fornendole gli strumenti per agire con la massima autonomia possibile. L'introduzione di un quasi-mercato è motivata dalla grande fiducia nell'intreccio tra libertà di scelta e meccanismi competitivi, che può portare alla formazione di un sistema più efficace, più efficiente e più giusto, considerando, sul piano dei valori, il quasi-mercato uno strumento per porre al centro la libertà di scelta del cittadino. Riconoscere agli utenti questa libertà è considerata una conquista per la dignità umana, perché permette agli individui di non essere più considerati come beneficiari passivi del welfare, ma soggetti attivi che esprimono i propri desideri e valorizzano le proprie potenzialità. Parallelamente, si punta anche sulla valorizzazione del terzo settore, che viene preso a riferimento dalla politica regionale lombarda sia in termini di autonomia nella produzione dei servizi, sia in termini di sostegno finanziario pubblico, valorizzandone la capacità di lettura dei bisogni territoriali. Attraverso l'introduzione del voucher, la giunta regionale ha voluto concretizzare gli obiettivi della riforma nel campo dei servizi domiciliari gestiti dalle Asl. Gli obiettivi primari perseguiti in questo settore riguardavano i seguenti punti: evitare o ritardare l'istituzionalizzazione dell'utente; consentire all'utente di scegliere liberamente le modalità e gli erogatori dell'assistenza. Gli obiettivi secondari, invece, puntavano ad avvalorare le seguenti azioni: sostenere e sviluppare una nuova rete di erogatori pubblici e privati, “profit” e “non profit” per l'ADI (Assistenza Domiciliare Integrata); promuovere una riorganizzazione delle Asl che portasse alla separazione della funzione di programmazione, acquisto e controllo dei servizi domiciliari dalla funzione di produzione. Il Voucher socio-sanitario è stato introdotto collocandolo fra le tipologie di intervento comprese all'interno dell'Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Dai dati del lontano 2005, emerge che il Voucher socio-sanitario era stato introdotto in 23 distretti della Regione Lombardia sui 98 esistenti. Quasi la totalità dei distretti ha previsto la sperimentazione dei buoni sociali e 40 distretti ha adottato il voucher sociale. Dal 2005 l'introduzione del voucher ha avuto una tendenziale crescita dovuta al fatto che la Regione Lombardia ha vincolato tutti i propri distretti ad introdurre questo strumento entro il 2008, tramite la circolare n°48/2005.
L'introduzione del voucher in Lombardia ha seguito diverse tappe. Negli anni 1999-2000, nelle Asl di Milano, Legnano e Monza si elargiva un assegno di cura per gli anziani non autosufficienti, che consisteva in un contributo monetario pensato come sostitutivo del ricovero in RSA, da fornire alle famiglie che si prendevano cura a casa dei propri familiari non autosufficienti, evitando di istituzionalizzare la loro malattia. All'inizio del 2001 la nuova legislatura ha dato avvio alla sperimentazione del “buono socio-sanitario” in tutte le Asl del territorio regionale. Questo dispositivo consisteva in un contributo economico gestito ed erogato dalle Asl e destinato agli anziani non autosufficienti ultrasettanatacinquenni con invalidità totale riconosciuta e indennità di accompagnamento, con un reddito inferiore a determinate soglie. Nel 2001 la Regione aveva stanziato 50 miliardi di lire e la sperimentazione è proseguita sino al 30 giugno 2002, con un ulteriore finanziamento di oltre 33 miliardi di lire. Ai familiari degli anziani non autosufficienti veniva corrisposta una cifra di 413,00 Euro per accudirli in modo autonomo e a domicilio. A beneficiare del buono sono stati circa 9300 anziani, nel 2001 ne hanno beneficiato circa in 7100, a fronte di 18.000 domande valide. A beneficiare della misura sono stati gli utenti più anziani. L'intenzione del legislatore era quella di fornire a domicilio, attraverso il buono, un insieme di prestazioni (infermieristiche, riabilitative, medico-specialistiche e sociali di rilievo sanitario finalizzate all'assistenza diretta dell'anziano). Gli utenti potevano scegliere fra due alternative per l'utilizzo del buono: impiegarlo come assegno di cura, oppure impiegarlo come voucher, ossia come un ticket spendibile per l'acquisto di prestazioni da uno degli erogatori accreditati. A partire dal 2001, si sono rese disponibili le risorse addizionali legate alla Legge 328/2000, provenienti dal Fondo nazionale per le politiche sociali. La Regione ha, quindi, posto il vincolo di impiegare il 70% di queste risorse in buoni e in voucher. A farsi carico dell'assegnazione di tali contributi dovevano essere i comuni, organizzati in ambiti. In linea con i principi della riforma lombarda nei servizi domiciliari delle Asl, l'amministrazione regionale ha deciso di concentrarsi esclusivamente sul voucher fornito con bisogni socio-sanitari. Il 1°luglio 2002 è stata avviata una sperimentazione di tale misura nelle Asl di Milano 3 (Monza) e di Lecco, svolta per 12 mesi. Il 1°luglio 2003 il Voucher socio-sanitario è stato introdotto in tutta la Regione. Ai distretti è stata lasciata la facoltà di scegliere liberamente quale tipo di titolo sociale introdurre tra buono sociale, voucher sociale o voucher socio-sanitario. I voucher socio-sanitari sono stati introdotti in linea di principio nelle Asl che presentavano un maggior numero di erogatori in competizione e che vantavano di una lunga esperienza nelle attività di assistenza domiciliare.
La sperimentazione dei Budget di cura ha avuto il suo avvio in alcuni ambiti territoriali delle Regioni Friuli Venezia Giulia (Gorizia), Veneto (Treviso) e Campania (Aversa). La misura è stata implementata nell'ambito territoriale coincidente con l'Asl CE/2 e poi ancora sperimentata nella Asl di Napoli 2. Infine, questa tipologia di progetto personalizzato è stato esplicitamente previsto all'interno del “Regolamento per l'attivazione della Porta Unitaria di Accesso (PUA) e delle Unità di Valutazione Integrata della Asl SA/2”, approvato il 25/02/2005. L'obiettivo connesso alla misura è quello di trasformare “bisogni con prevalenza sanitaria ad espressività sociale” in “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria”, tali da permettere la reintegrazione nel corpo sociale delle persone vulnerabili e con disabilità sociale. Il perseguimento di tale obiettivo era subordinato all'esigenza di creare una rete di servizi territoriali socio-sanitari che avrebbero favorito la ricostruzione dell'ambiente sociale e familiare attorno al soggetto fragile. All'interno della Asl CE/2, il Progetto Terapeutico-Riabilitativo Individuale doveva essere organizzato su tre assi contemporanei di intervento: casa/habitat sociale, socialità/affettività, formazione/lavoro. L'erogazione degli interventi veniva effettuata in cogestione tra la Asl e le organizzazioni appartenenti al terzo settore o al privato sociale e imprenditoriale no profit. Tutti i soggetti erogatori aderenti al bando di cogestione del Budget di Cura dovevano prestare attività integrate programmate che facevano riferimento ai LEA socio-sanitari ed anche alle e alle indicazioni contenute all'interno della Legge 229/1999. I Budget di Cura nascono come contratti che si articolano su tre livelli di intensità, in relazione alla complessità del progetto terapeutico riabilitativo individuale. Più precisamente, l'alta intensità fa riferimento ad un sostegno alla persona fragile che copre le 24 ore, la media intensità copre fino alle 12 ore, mentre la bassa intensità non ha alcun parametro temporale ed è riferita ad un sostegno per “determinate attività, al fine di aumentare il potere contrattuale della persona, l'accesso ai diritti di cittadino e di arrivare alla libera capacità di condivisione ed ulteriore attivazione di nicchie economico-sociali”. La durata massima di tali contratti è di due anni ed il passaggio da una tipologia di contratto a minore intensità ad una di maggiore intensità è indice di miglioramento delle condizioni dell'assistito e di raggiungimento degli obiettivi di reintegrazione sociale. Il meccanismo di elargizione della misura prevedeva che l'utente che passava da un budget di cura a prevalenza sanitaria e rilevanza sociale (le cui prestazioni risultavano a carico del Fondo Sanitario Regionale, secondo i LEA socio-sanitari) ad un budget di cura a prevalenza sociale (con prestazioni a carico dei Comuni) lasciava libero un budget che poteva essere assegnato ad un altro utente. La compagine assegnataria negoziava e programmava con l'ente pubblico, attraverso l'utilizzo del “project financing”, strumento concreto per il raggiungimento degli obiettivi proposti. Se si presta attenzione all'osservazione del modello socio-sanitario della Regione Campania, si nota che il Piano Sanitario Regionale 2002-04 della Regione Campania di poneva come obiettivi prioritari da perseguire la riorganizzazione della rete territoriale dei servizi e l'orientamento ad un approccio alla salute. Il distretto diventava il luogo in cui si realizzava il livello di integrazione complessa delle attività socio-sanitarie rivolte alla popolazione. Tali attività si ponevano l'obiettivo del raggiungimento del benessere del cittadino e delle comunità di cui era parte. All'interno della Asl CE/2, il Budget di Cura mirava essenzialmente alla costruzione di un sistema rivolto alle persone con bisogni ad alta integrazione socio-sanitaria e si fondava sul rafforzamento delle reti naturali della comunità e sulla qualificazione degli interventi di volontariato e di economia sociale. Come si evince dalle Linee Guida per la programmazione sociale 2003, l'integrazione socio-sanitaria rappresentava l'opzione strategica adottata dalla Regione Campania, in attuazione del Decreto legislativo 299/99 e del D.P.C.M. 14/02/2001, considerata “la sola in grado di promuovere risposte unitarie a bisogni complessi del cittadino, che non possono essere adeguatamente affrontati da sistemi di risposte separate sociali e sanitarie”. La programmazione sociale del 2003 mirava a raggiungere l'obiettivo della garanzia della qualità dei servizi erogati, secondo i principi di equità, di tutela della salute e dei diritti sociali delle persone. Gli obiettivi regionali puntavano in modo particolare alla promozione del “benessere del cittadino”e al “diritto a star bene” sotto l'aspetto fisico, relazionale e della cittadinanza attiva, sottolineando la necessità di ridurre gli squilibri nell'offerta dei servizi essenziali e di garantirli a tutti coloro che vertevano in condizioni di grave mancanza di risorse economiche e di riduzione delle capacità fisiche e psichiche. Il PSSR 2002-04 ribadiva che l'integrazione delle politiche per la salute rappresentava uno strumento idoneo a creare l'integrazione ed a creare le condizioni essenziali per migliorare l'efficacia degli interventi, promuovendo la solidarietà e valorizzando gli strumenti di salute nella comunità locale. Il Budget di Cura realizza interventi volti alla riorganizzazione dei servizi territoriali per renderla più coerente con l'approccio di cura comunitario, attraverso la promozione di interventi di cura informale e il coinvolgimento di forme di mutualità, in gradi di favorire nuove opportunità relazionali ed occupazionali per la reintegrazione delle fasce deboli della popolazione.
Maggiori differenze tra i due strumenti socio-sanitari – obiettivi regionali a confronto
I Voucher e i Budget di Cura sono due strumenti contrattuali che rimandano a processi di contrattualizzazione intervenuti nelle politiche socio-sanitarie per l'erogazione dei servizi sociali. Lo strumento del voucher è fondato sulla libera scelta degli individui, mentre quello del budget di cura è fondato su una prospettiva di coordinamento dei diversi soggetti che partecipano alla programmazione partecipata. Per ottenere il voucher la persona fragile deve farne richiesta alla Asl di riferimento, allo scopo di essere assistita a casa. I fornitori privati devono sottoscrivere con la Asl il Patto di Accreditamento e dimostrare di rispondere ad alcuni tecnici ed organizzativi. In tal modo, si delinea in Lombardia un “modello di quasi-mercato”, in cui alla Asl spetta la funzione di programmazione, acquisto e controllo, mentre i produttori privati di prestazioni socio-sanitarie competono sul mercato, in base ad un tariffario prestabilito per attrarre i pazienti consumatori. I voucher attribuiscono al beneficiario la libertà di scegliere fra gli erogatori privati di servizi che concorrono sul mercato. Il destinatario è un cittadino consumatore che ha potere contrattuale. I Budget di Cura vengono richiesti da persone con disabilità secondarie, che richiedono prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione socio-sanitaria. Il percorso abilitativo deve creare le condizioni per la reintegrazione dell'individuo nel contesto sociale. I budget di cura non attengono a titoli spendibili, ma sono incentrati su progetti terapeutici-riabilitativi alla cui definizione partecipano anche i soggetti beneficiari. Al progetto terapeutico-riabilitativo individuale partecipano: la persona titolare del budget, la Asl (attraverso i referenti dei servizi sanitari) e il comune di residenza del titolare, che partecipa con proprie risorse alla loro realizzazione, attraverso i servizi sociali. L'accreditamento avviene secondo la logica dell'idoneità di progetto. Il Patto di Accreditamento deve essere stretto di volta in volta sui singoli progetti. L'obiettivo dei budget di cura è quello di “restituire al soggetto fragile il potere contrattuale per produrre i propri servizi, quelli di cui ha più bisogno.” (Monteleone). L' “agency” del destinatario si esprime, in questo caso, sulla produzione dei servizi, ma non su una capacità contrattuale già acquisita. I Voucher e i Budget di Cura rappresentano due tipologie di contratto che regolano il mercato sociale seguendo due schematizzazioni diverse, la “competizione”, per i primi, la “cooperazione” per i secondi. I voucher scaturiscono, infatti, da un modello di regolazione fondato su trasferimenti e accreditamenti, che richiama alla separazione tra le funzioni di finanziamento, di acquisto e di controllo. La Asl si è trovata ad esercitare un ruolo di semplice pagatore passivo degli interventi, che in seguito alla chiusura dei servizi a gestione diretta, vengono erogati da soggetti privati che concorrono liberamente sul mercato. Il sistema, oltre a prevedere una scarsa integrazione dell'offerta e un alto grado di separazione tra sociale e sanitario, fa svolgere all'autorità pubblica la funzione di regolatore del mercato sociale, in cui concorrono fornitori privati e in cui le prestazioni entrano in gioco come se fossero merci e al destinatario fa operare le proprie scelte privatamente, senza il controllo dell'autorità pubblica. I budget di cura si riferiscono ad un modello di regolazione unicamente improntato alla realizzazione di progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati, volti a ricostruire il funzionamento sociale dei cittadini più vulnerabili. L'autorità pubblica, in questo sistema, ha una funzione regolativa molto forte, volta a obiettivi di integrazione tra finanziatori, tra finanziatori ed erogatori e fra materie, nello specifico tra il settore sociale e il settore sanitario. L'autorità pubblica è un contraente che partecipa con gli altri contraenti alla realizzazione del progetto terapeutico ed entra in gioco per tutelare l'agency del destinatario, che si esprime “non sul terreno del consumo, bensì su quello della produzione”.
Dal punto di vista dei soggetti istituzionali, l'introduzione dei voucher in Lombardia e dei budget di cura in Campania è stata dovuta a diversi motivi. Se prendiamo a riferimento il modello socio-sanitario della Regione Lombardia, l'obiettivo posto dal Piano Regionale (PSSR 2002/04) era quello di rafforzare il ruolo della Asl e del distretto, come “garante del cittadino e acquirente delle prestazioni”, puntando sull'individuazione di nuovi strumenti di programmazione, acquisto e controllo sulle prestazioni sulle prestazioni socio-sanitarie. Gli obiettivi posti dal Piano Regionale della Regione Campania (PSSR 2002/04) davano, invece, come azioni prioritarie la riorganizzazione della rete territoriale dei servizi e l'orientamento ad un approccio al bene salute. Tra i “motivi sociali e strutturali” che hanno spinto alla sperimentazione dei voucher in Lombardia e dei budget di cura in Campania troviamo in Lombardia: -aumento della domanda di cura e di assistenza da parte di un numero progressivo di anziani non autosufficienti a fronte della scarsità delle risorse pubbliche a disposizione; -tradizionale valorizzazione del ruolo della famiglia e dello strumento del buono per la cura dell'anziano a domicilio e dello sviluppo di forme di assistenza alternative al ricovero; -obiettivo di prefigurare un nuovo welfare a seguito della tradizionale separazione tra intervento sanitario e sociale; -valutazione ampiamente positiva sulla capacità dei produttori privati di erogare prestazioni efficienti e di elevata qualità; -assunto che i cittadini siano in grado di scegliere tra i diversi produttori di servizi e che il potere contrattuale sia considerato già acquisito; -politica volta a favorire la competizione tra i soggetti produttori in un'ottica di miglioramento della qualità e della quantità dei servizi offerti. In Campania troviamo, invece,: -obiettivi volti al raggiungimento del benessere sociale, come diritto a stare bene e come capacità di sviluppare e conservare le proprie capacità fisiche ed essere membri attivi della società; -si punta necessariamente sull'incremento della sicurezza sociale; -introduzione di una misura attraverso la quale poter agire sui tre assi della casa/habitat sociale, della socialità/affettività e della formazione/lavoro; -approntamento di interventi destinati soprattutto a coloro che soffrono di una grave mancanza di risorse economiche, di una forte riduzione delle capacità personali a causa di fragilità psichica e fisica e, infine, di gravi carenze nelle relazioni familiari e sociali; -adozione di una misura volta a restituire al soggetto fragile il potere contrattuale per produrre i propri servizi, quelli di cui ha bisogno.
I motivi gestionali che hanno spinto le due giunte regionali a percorrere due vie diverse per quanto riguarda l'introduzione di strumenti socio-sanitari riguardano diversi aspetti. In Lombardia si delineava uno scenario in cui prevalevano i seguenti fattori: -destrutturazione del sistema dei servizi pubblici in favore della creazione di un quasi-mercato, facendo perno su un modello contrattuale di gestione dei servizi alla persona che prevede la separazione fra soggetti acquirenti e soggetti erogatori delle prestazioni, dove compete alle Asl l'esercizio dell'esclusivo ruolo di programmazione, acquisto e controllo; -introduzione di una misura emblematica della nuova organizzazione dell'ADI (assistenza domiciliare integrata); -maggiore controllo sulla qualità delle prestazioni erogate da personale qualificato, incentrando l'attenzione sulla soddisfazione del cliente. Quest'ultima è stata individuata dalla Regione Lombardia come uno degli elementi fondamentali volti non solo alla valutazione della qualità delle prestazioni, ma ad influenzare i meccanismi decisionali. Lo scenario in Campania vedeva il confluire dei seguenti fattori: -superamento dell'impostazione organizzativa tradizionale focalizzata sull'offerta dei singoli servizi, che limita la valutazione dei risultati sull'attività di quel determinato settore, in favore di una necessaria valutazione in termini di “bilancio di salute” e di uso appropriato delle risorse disponibili; -implementazione della misura socio-sanitaria come contratto che regola i rapporti fra l'utente, il servizio pubblico e il partner privato. Il contratto deve essere stipulato secondo le norme di diritto privato e sulla base di un progetto personalizzato formulato dagli operatori della Asl, dei comuni degli ambiti territoriali e contenente obiettivi ed indicatori di risultato. Infine, il passaggio da una tipologia di contratto ad un'altra di minore intensità deve essere indice del raggiungimento di obiettivi volti alla reintegrazione sociale delle persone utenti, specificandone la crescita. Tra i motivi economici che hanno determinato l'avvio della sperimentazione dei voucher in Lombardia e dei budget di cura in Campania, troviamo che nel primo caso con i voucher i piccoli comuni possono offrire ai propri cittadini prestazioni che non sarebbero altrimenti in grado di erogare direttamente, nel secondo caso la compagine assegnataria dell'intervento provvede in proprio a destinare risorse proprie per la formazione del personale e delle persone in budget di cura. In entrambi i casi gli obiettivi regionali puntavano sull'ottimizzazione dell'allocazione delle risorse comunali e regionali, seguendo il modello dell'amministrazione-azienda in Lombardia e il riferimento al modello dell'amministrazione condivisa in Campania.
Punti di forza e di debolezza
In Lombardia, l'introduzione del voucher sociale è stentato a decollare. In seguito alla circolare n°48/2005, che ha vincolato tutti i distretti alla sua introduzione entro il 2008, si è registrato un incremento del numero dei distretti che hanno introdotto tale strumento. La finalità espressa dalla misura faceva perno sulla creazione di opportunità per la formazione di un mercato concorrenziale che prediligesse la libertà di scelta dell'utente e garantisse un innalzamento della qualità dei servizi erogati. Le varie realtà distrettuali hanno, invece, rilevato quanto in generale sia difficile creare un sistema competitivo se a contendersi sono solo due, o la massimo, tre erogatori. Per attrarre una più cospicua presenza di erogatori sul mercato, i distretti dovevano provvedere ad innalzare le quote di mercato, incrementando la spesa stanziata per i voucher, ossia eliminando la sovrapposizione dello stesso servizio erogato sotto forma di “voucher” e “a gestione diretta”. In tal modo, i distretti avrebbero potuto stabilire scelte univoche che sarebbero servite ad incrementare le quote sul mercato. L'introduzione del Voucher socio-sanitario non sembra derivare da alcuna analisi svolta sullo stato dell'ADI, né sembra connessa ad alcuna analisi relativa al fabbisogni degli anziani e dei disabili abitanti nella regione lombarda. Ciononostante, l'introduzione della misura ha innescato alcuni cambiamenti positivi, primo fra tutti la creazione di un quasi-mercato pubblici e privati, profit e non profit. Le Asl hanno compiuto un notevole sforzo per attrarre nuovi erogatori, attraverso l'informazione, la sensibilizzazione e il convincimento dei soggetti potenzialmente coinvolgibili. Il passaggio al quasi-mercato ha incrementato l'attenzione degli operatori nei confronti degli utenti, ai loro bisogni, alle loro aspettative. La libertà di scegliere l'erogatore preferito da parte del cittadino-utente e la possibilità di cambiarlo ha contribuito a creare un clima competitivo, che ha spinto diversi operatori ad impegnarsi maggiormente nel rispondere a necessità e desideri degli utenti. Inoltre, per gli abitanti di alcuni territori lombardi, l'introduzione del voucher
ha incrementato la possibilità di ricevere l'ADI rispetto alla situazione precedente. Sono aree che il servizio stentava a raggiungere a causa del profilo geografico: zone montane, zone rurali e territori a bassa densità di popolazione. Il funzionamento dell'intero sistema ha presentato non poche difficoltà nel tradurre in pratica i principi della politica della giunta regionale. Secondo la ricerca di Gori, in alcune realtà territoriali la presenza di più erogatori non ha portato concorrenza: ciò è accaduto quando questi si sono divisi il mercato locale per segmenti territoriali e/o per segmenti di bisogno dell'utenza. A ciò si aggiunge anche il fatto che l'iniziale intenzione di dedicare il soggetto pubblico alla funzione di programmazione-acquisto-controllo (PAC) è stata realizzata marginalmente e il sistema competitivo, nonostante sia stato adottato in tutti i distretti lombardi, sembra essere tuttora per gli erogatori una novità alla quale abituarsi. Un'altra questione importante verte sul fatto che con il voucher si è passati da modalità di pagamento “retrospettiche”, che prevedono un rimborso di tutte le risorse utilizzate durante l'attività produttiva, a modalità di pagamento “prospettiche”, le quali prevedono che il pagamento agli erogatori per l'attività da svolgere sia definito prima del suo inizio, raggruppando gli utenti in “profili” per i quali è mediamente atteso lo stesso consumo di risorse assistenziali. Alcuni nodi riguardano le tariffe e i profili stabiliti dalla Regione. Le Asl hanno incontrato difficoltà nell'utilizzare questi profili assistenziali con le rispettive remunerazioni. Tale modalità di pagamento era stata adottata perché avrebbe comportato maggiori incentivi nell'efficienza produttiva, sviluppo della consapevolezza relativa ai costi di produzione, maggiore trasparenza dei criteri di finanziamento delle prestazioni erogate. Un sistema di questo tipo, però, richiedeva di essere sottoposto ad una continua attività di monitoraggio e di verifica delle prestazioni erogate, al fine di evitare il rischio che alcuni erogatori prendessero in carico utenti considerati più remunerativi di altri. La stessa libertà di scelta attribuita al cittadino-utente veniva operata solamente sulla scelta dell'erogatore dell'assistenza ricevuta a domicilio, in quanto gli utenti si trovavano in mancanza delle competenze necessarie atte a valutare quali potevano essere gli interventi più appropriati per soddisfare i propri bisogni. Risultava evidente un problema di “asimmmetria informativa” per il fatto che gli utenti mancavano delle conoscenze necessarie sui diversi erogatori e non possedevano competenze sufficienti a valutare gli interventi più appropriati per soddisfare i propri bisogni. A ciò si aggiunge anche il fatto che la scelta dei servizi socio-sanitari è resa più difficile a causa della loro natura di “beni di esperienza”, la cui qualità è valutabile esclusivamente durante il processo stesso di produzione e non in una fase di scelta precedente. La qualità e l'esito dell'interazione con gli operatori la si può giudicare solo mentre si riceve il servizio. Alcuni dubbi sono emersi anche da alcune interviste svolte con gli utenti (Gori), i quali hanno affermato che la scelta dell'erogatore non figurava tra le loro esigenze prioritarie e tra quelle dei loro familiari. Altri dubbi, invece, si sono sollevati riguardo all'obiettivo primario della misura volto ad evitare e/o a ritardare l'istituzionalizzazione del soggetto fragile. Secondo il dibattito internazionale, infatti, questa finalità poteva essere raggiunta solamente agendo sui fattori relativi alle condizioni cliniche, alla disabilità, alla protezione della rete informale, mentre non occorreva puntare su fattori relativi alla competizione e all'introduzione della libertà di scelta.
In Campania e precisamente nel territorio della Asl CE/2, dove si è avviata la sperimentazione del Budget di Cura, i sistemi di aiuto si ponevano l'obiettivo di limitare ed eliminare, laddove possibile, le condizioni di rischio e di vulnerabilità che avrebbero potuto causare malattie e, quindi, condizioni di diminuzione delle aspettative di vita con compromissione delle sue qualità. I sistemi socio-sanitari perseguivano l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli interni ed esterni che potevano frapporsi al perseguimento della felicità comunque, anche in situazioni di menomazione non guaribile. Il progetto individuale pensato per le persone portatrici di disabilità sociale grave si collocava all'interno di un intervento più ampio, il cui obiettivo finale era la costituzione di un sostegno per le persone con bisogni ad alta integrazione socio-sanitaria fondato sul rafforzamento delle reti naturali di comunità, sulla qualificazione degli interventi di volontariato e di economia sociale, nonché sulla migliore integrazione con i servizi territoriali socio-sanitari divenuti “capaci di fare comunità”, del terzo settore e delle organizzazioni produttive. Il Budget di Cura realizzava interventi tesi a: -ridefinire l'organizzazione dei servizi di cure territoriali per renderla più coerente con l'approccio di cura comunitario; -re-orientare la professionalità dell'infermiere professionale e degli operatori professionali verso la cultura delle community care; -conoscere, per sostenere e valorizzare le dinamiche di cura informale; -approfondire la conoscenza delle comunità attraverso la definizione di profili che ne rappresentassero le aree di risorsa e le aree problematiche; -incrementare la visibilità del terzo settore e del privato imprenditoriale; -promuovere, nelle realtà locali, nuove forme di mutualità come strumenti innovativi di espansione del sistema di protezione e di integrazione sociale legato al territorio, in grado di favorire nuove opportunità occupazionali e relazionali per le fasce deboli; -sviluppare corsi di valorizzazione culturale dell'identità sociale e della casa-habitat, quali alternative necessarie ai percorsi di istituzionalizzazione o abbandono delle persone con disabilità sociale; -realizzare la sperimentazione dell'habitat sociale alternativo all'istituzionalizzazione. Complessivamente, è desumibile un livello di soddisfazione mediamente alto sia da parte degli operatori che da parte dell'utenza. Si sono, però, incontrate numerose difficoltà sul territorio inerenti a vari aspetti, sintetizzabili nei seguenti punti: -mancata integrazione fra il livello sanitario e quello sociale; -carenza di un'adeguata ristrutturazione dei servizi precedentemente all'emanazione della legge-quadro 328/2000; -endemica carenza di risorse finanziarie da investire negli interventi utili da realizzare; -difficoltà storica da parte degli attori istituzionali verso la condivisione dei percorsi necessari ai fini della realizzazione degli interventi; -assenza di una cultura orientata alla programmazione, in favore del permanere di consuetudini di lavoro dirette alla mera gestione di aspetti legati all'emergenza; -carenza di completa autonomia dell'imprenditoria sociale e consequenziale condizione di dipendenza dalle istituzioni pubbliche.
Conclusioni
Volendo riportare il caso di studio esaminato all'interno di una problematica analizzata a livello nazionale, possiamo affermare che la Campania, così come altre realtà regionali come l'Emilia Romagna, l'Umbria e la Liguria, attraverso i propri piani di zona si è posta in una logica di accompagnamento e correzione dell'esperienza sperimentale avvenuta con i Budget di cura. Altre regioni, invece, come la Lombardia, hanno assunto una funzione più prescrittiva, di indirizzo. Il primo gruppo di regioni ha assegnato alle Asl un ruolo di partner alla pari, mentre il secondo gruppo ha assegnato a queste un ruolo di controllo rispetto all'inosservanza delle prescrizioni regionali. Ma il problema a livello nazionale è raggiungere livelli di prestazioni socio-sanitarie pressoché omogenee. Per questo, è necessario che le regioni che meno si sono attivate in termini di progettazione partecipata prendano come riferimento le regioni che hanno attivato modelli innovativi nel campo dell'integrazione socio-sanitaria. L'erogazione dei voucher fuori dai confini della Regione Lombardia stenta a decollare. In Campania si è proceduto con l'utilizzo del budget di cura, ma con tentativi di blocco. Sono stati i dissidi interni ad avere influito negativamente sulla diffusione di tali misure in altri ambiti territoriali? E' probabile che sia così, ma occorre fare chiarezza ancora su molti altri fattori che impediscono il raggiungimento del benessere sociale con standard qualitativi omogenei su tutto il territorio nazionale.
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Siti Internet
www.famiglia.regione.lombardia.it

L'integrazione socio-sanitaria: il caso dei Voucher e dei Budget di Cura
Serena Pinnavaia