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Di seguito si riporta la biografia che la collega Silvia Liaci, recentemente scomparsa, fondatrice e presidente della SoIS, stilò nel 2009 rispondendo ad un Questionario semistrutturato che richiedeva di ripercorrere la carriera professionale evidenziando eventuali difficoltà o facilitazioni legate al genere. Il testo è una testimonianza di come, sia pure a fatica, le donne si siano ritagliate uno spazio nel mondo del lavoro, inoltre ripercorre la storia della Società Italiana di Sociologia dalla sua fondazione nel 1990.

 
 
INTERVISTA INEDITA A SILVIA LIACI
 

 

 

 

1. Racconta in poche righe la tua storia professionale Silvia Liaci, nata a Bari nel 1936. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Bari nel 1960 con l'obiettivo di svolgere la professione di avvocato presso lo studio di mio padre, dove ancora prima della laurea ho fatto pratica. Abilitata in "Materie giuridiche, economiche e commerciali” nel 1961, nello stesso anno mi sono sposata e trasferita a Milano, per seguire mio marito, accantonando temporaneamente ogni progetto di lavoro. Nata la prima figlia nel 1962, il secondo figlio nel 1964 e la terza figlia nel 1965, rientrata in Puglia, Barletta è diventata la mia sede stabile. La presenza dei figli e la lontananza da Bari, non mi ha consentito di esercitare la professione di avvocato e ho ripiegato per l'insegnamento negli Istituti Tecnici e Commerciali, dove nel 1967 ho ottenuto la prima supplenza. Ho continuato a insegnare anche dopo la nascita della quarta figlia, nel 1969, ma non sentendomi pienamente soddisfatta ho deciso di "riciclarmi", iscrivendomi nel 1972 al Corso di laurea in Sociologia, presso l'Università di Roma, dove mi sono recata solo per sostenere gli esami, viaggiando di notte per non sottrarre tempo alla famiglia. Mi sono laureata nel 1975, relatore il prof Franco Ferrarotti, col massimo dei voti, discutendo una tesi su "Problemi specifici incontrati dalle donne che desiderano intraprendere la carriera politica”. Alla seduta di laurea era presente la famiglia al completo, orgogliosa della mia"performance”. Già prima della laurea in Sociologia, ebbi l'incarico di assistente presso la facoltà dì Magistero dell'Università di Bari. Appena laureata inoltrai la domanda di insegnamento di Sociologia, presso la Scuola Infermieri professionali di Barletta, che ottenni e conservai per oltre 15 anni. Impaziente di utilizzare, il nuovo titolo di studio, conseguito con passione ed entusiasmo, decisi di svolgere la libera professione di sociologa. Il mio primo lavoro retribuito fu una ricerca sui grandi rischi industriali. Nel 1976 fondai, insieme a qualificati professionisti, l'Istituto per Assistenti sociali di Barletta, riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione, che ho organizzato e diretto fino al 1992, insegnando anche: Sociologia, Antropologia culturale e Sociologia urbana. Entrai inoltre nel CSEI, Centro Studi di Economia applicata all'Ingegneria del Politecnico di Bari, per il quale ho svolto varie ricerche e tenuto lezioni ai corsi post lauream. Specializzata in Sociologia clinica e in particolare in Mediazione dei conflitti, ho tenuto lezioni in vari master e attualmente sono docente nel Corso di Alta Formazione dell'Università "La Sapienza "dí Rorna. Sono stata anche Giudice di pace presso il Tribunale di Trani fino al 1998.

 

2. La scelta dell'impegno associativo. Quando e perchè hai scelto di aderire ad un'associazione e di assumere un ruolo attivo. Dal 1975 in poi sono stata contesa da svariate associazioni in quanto donna e per di più sociologa e invitata in importanti convegni anche all'estero, a tenere relazioni sulla condizione femminile, sulla famiglia, sugli anziani, sull'ambiente, sui centri storici, sulla scuola, sulla salute, sui diritti umani e su altri temi d'attualità, spesso pubblicate in volumi e riviste scientifiche. Ho pubblicato nel 1976 il mio primo libro: "Il mutamento sociale e la donna”, nel 2000 "Mediazione sociale e sociologia", nel 2008 "La luce degli ideali:La dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo”, in corso di stampa "Il focus group uno strumento poliedrico". La mia propensione al volontariato e la ferma convinzione della utilità di unirsi per raggiungere scopi comuni, mi ha indotto in più occasioni ad aderire ad associazioni e a costituirne di nuove. E' appunto il caso della Società Italiana di Sociologia, della quale ho fatto parte sin dalle prime fasi, convinta della necessità di aggregarsi per ottenere il riconoscimento di una professione e di una scienza, poco nota, almeno in Italia.

 

3. Il percorso di crescita nell'associazione Nel 1987 con altri sociologi, provenienti da varie Regioni, costituimmo un Comitato promotore, nel quale mi fu affidato il ruolo di tesoriera; di fatto dopo alcune riunioni svolsi anche il compito di segretaria, essendosi dimesso il collega al quale era stato affidato tale incarico. Nell'arco dì due anni, come programmato, giungemmo alla costituzione ufficiale dell'Associazione nella quale fui confermata tesoriera e con gli altri tre componenti dell'esecutivo, nel febbraio 1990, ci recammo dal notaio per la registrazione. Fu un periodo molto stimolante, nel quale tra i colleghi, tutti più giovani di me, mi sentivo alla pari, tanto da illudermi che per le nuove generazioni l'emancipazione femminile fosse ormai raggiunta. Il mio ruolo costantemente attivo mi ha portato a organizzare con successo seminari, convegni e corsi dì formazione, incrementando il consenso nei miei confronti, anche a livello regionale. Nel 1992 fui eletta presidente della Sezione Puglia, pur mantenendo l'incarico di tesoriera nazionale. Per l'Associazione questa fu una fase particolarmente importante: allacciammo rapporti con sociologi, e gettammo le basi per la costituzione di un'Associazione Europea. Successivamente intensificammo gli scambi, in particolare con la Spagna, dove sono stata spesso invitata a partecipare a convegni e a tenere lezioni presso l'Università Computense di Madrid e anche a dirigere un Corso di Relazioni umane per conto della Comunidad di Madrid. Nel 1994 fui nominata vicepresidente nazionale e l'anno successivo riuscii a far approvare il Codice Deontologico, che avevo avuto l'incarico di elaborare insieme ad altri colleghi. Collaborai per diversi anni all'organizzazione delle "Summer school” e a varie iniziative di successo, tra le quali la stampa dell'InformaSois, un foglio destinato a incrementare i servizi ai soci, attraverso l'informazione e la possibilità di pubblicare articoli e contributi scientifici . In quel periodo, pur riconoscendo il mio fattivo impegno, o forse proprio per quello, cominciò a manifestarsi da parte di alcuni colleghi un senso di invidia, che sfociò in scontro aperto su alcuni aspetti della gestione dell'Associazione che non condividevo e che mi indusse nel 2000 a candidarmi alla presidenza. Non fu facile, ma con l'incondizionato appoggio dei soci della Sezione Puglia, di cui non ero più presidente, e di numerosi colleghi di tutta Italia riuscii a spuntarla Furono quelli, anni di radicali riforme. Iscrissi subito la SolS nell'elenco del CNEL, dove nel 1992 ero stata delegata a rappresentare l'Associazione ad un incontro sul riconoscimento delle professioni, organizzato dal prof. De Rita. Incrementammo i rapporti con i soci continuando a fornire opportunità formative di alta qualità. Nel 2003 procedemmo alle modifiche dello Statuto e, in pieno accordo, provvedemmo a istituire il Repertorio dei sociologi certificati e a elaborare il relativo regolamento. Subito dopo entrammo a far parte del COLAP.

 

4. Il ruolo e la carica che ricopri; gli ostacoli incontrati e le forze messe in campo; i tuoi punti di forza e di debolezza professionali. Dopo sei anni di intensa e proficua attività, nel 2006, ho passato la mano ad un collega, ma continuo, comunque a far parte dei Consiglio Direttivo nazionale e sono delegata a rappresentare l'Associazione presso il CoLAP, impegnandomi fattivamente per il riconoscimento della professione. Attualmente mi è stata riconfermato l'incarico di Presidente della Commissione per la Certificazione e di direttrice dei Corsi SoIS. Non posso negare che alcune difficoltà possano essere dipese dal genere, che ha spesso richiesto un supplemento di energie per raggiungere le stesse mete degli uomini. La ritrosia ad assumere ruoli di comando dipende da un tipo di educazione, che incoraggiava a "cedere il passo” ma della quale non mi sono mai lamentata. Infatti devo riconoscere che il tipo di educazione ricevuta e proprio il fatto di essere donna, mi hanno spesso fornito alcuni strumenti per affrontare e superare gli ostacoli. La creatività, abbinata alla concretezza tipicamente femminile, ma anche la pazienza, la tenacia e la disponibilità a mettersi continuamente in gioco, che caratterizza le donne, mi ha consentito di accettare varie sfide sperimentando nuovi ruoli. Particolarmente utile è stata la capacità dì organizzarmi e di coinvolgere nei miei progetti marito e figli, che mi hanno sempre appoggiato e sostenuto, facendo propri i miei successi. Un altro punto di forza ritengo sia lo scarso interesse per il potere fine a stesso, che mi ha permesso di salvaguardare la mia libertà, senza peraltro sottrarmi alle responsabilità connesse ai vari impegni assunti. In relazione alla professione, è stato particolarmente utile l'amore per lo studio, la curiosità e l'interesse scientifico, ma anche una certa pignoleria e accuratezza nella preparazione delle lezioni e delle conferenze e soprattutto il piacere dì comunicare, che in ogni occasione mi hanno consentito di instaurare un rapporto empatico con l'uditorio.

 

5 Il rapporto con l'altro sesso e con lo stesso sesso sia professionale che associativo Non ho avuto difficoltà a rapportarmi, né con l'uno né con l'altro sesso, sia nella professione, sia in campo associativo, misurandomi lealmente e collaborando. Il senso materno, che mi caratterizza e che col tempo si è sempre più affinato, mi ha portato ad aiutare i giovani e in particolare le giovani, che non mi hanno considerata una rivale, ma un sostegno per raggiungere i propri obiettivi. La consapevolezza di aver bisogno degli altri, mi ha portato ad accettarne, sia pure entro certi limiti, pregi e difetti e a instaurare rapporti di complicità e di profonda amicizia, sia in ambito associativo, sia professionale. Tuttavia ancora oggi registro con un certo disappunto comportamenti ascrivibili a una cultura maschilista da parte di alcuni uomini, ma anche di donne e questo mi disturba e mi preoccupa specie se sì tratta di giovani.

 

6. Eventuali difficoltà e soluzioni applicate per conciliare famiglia e impegni privati e vita professionale Non posso negare alcune difficoltà nel conciliare famiglia, lavoro e svago, che, sia pure in misura diversa, ho considerato importanti. Convinta che i sensi di colpa siano il peggior fardello da portarsi dietro, ho cercato di fare della scelte consapevoli, sulla base di una mia gerarchia di valori e anche in caso di errori, li ho riconosciuti chiudendo possibilmente in pareggio il bilancio delle mie giornate.

 

7. Di che cosa hanno bisogno oggi le donne professioniste Innanzitutto ritengo fondamentale la percezione galvanizzata della valenza positiva del lavoro professionale delle donne. E', a mio avviso, indispensabile che sul territorio si offra una rete di servizi adeguati, per conciliare impegni familiari e lavoro; è inoltre necessario che si pongano in essere meccanismi per agevolate il reinserimento nel mercato del lavoro di professioniste, che per dedicarsi ai figli se ne sono temporaneamente allontanate. Sollecitare gli Ordini professionali a proporre corsi di aggiornamento, necessari per la permanenza nell'Albo, diffusi sul territorio e a costi contenuti per agevolare l'accesso alle madri con figli minori e con redditi bassi, nella convinzione che il lavoro femminile rappresenta una risorsa e costituisce un diritto/dovere che va garantito e tutelato.

 

8. Cosa possono fare le associazioni o chi può fare qualcosa? Le associazioni di categoria possono supportare gli iscritti e in particolare le donne, tenendo conto delle loro esigenze e assecondando le loro richieste riguardo alla formazione di alta qualità a costi accessibili, all'aggiornamento e alla possibilità di svolgere tirocini, vicino ai luoghi dì residenza, opportunità offerte in passato e ancora attualmente dalla SolS, grazie alla sua capillare diffusione sul territorio. L'associazione consente e agevola l'inserimento lavorativo negli studi di soci già affermati, professionisti che si fanno carico di trasmettere conoscenze e tecniche.

 

9. Secondo te come si spiega la sottorappresentanza delle donne nei ruoli apicali delle associazioni? Costituisce ancora un dato inconfutabile la limitata presenza di donne nei ruoli apicali anche nelle associazioni e che in genere risulta strettamente correlata con il potere che riveste la stessa Associazione. E' infatti difficile, che gli uomini lascino spazio alle donne in ruoli appetibili e prestigiosi e d'altra parte le donne sono scarsamente motivate anche per mancanza di tempo a competere quando la lotta si fa aspra. Questo si verifica non tanto, a mio avviso, per la tradizionale resistenza delle donne ad assumere ruoli di responsabilità, ma anche per la carenza di modelli positivi, in quanto talvolta le poche donne che raggiungono i vertici, non sono sempre le più qualificate ma, spinte dall'ambizione, adottano logiche e strumenti tipicamente maschili, che molte non ritengono ad esse congeniali. A questo si aggiunge anche inconsciamente una certa diffidenza e la difficoltà da parte degli associati di riconoscersi in un modello femminile e ad accettare disposizioni da una donna. Le Associazioni possono, secondo me, costituire un'utile palestra per sperimentare le proprie e altrui capacità realizzando un rapporto solidale tra i generi, proficuo per tutti.

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