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E così anche il 2012 volge al termine. E’ stato un anno duro, anzi durissimo per molti aspetti, ma soprattutto per la profonda crisi economica che siamo stati chiamati a fronteggiare. Mai la situazione finanziaria reale del nostro Paese era scesa così in basso dal secondo dopo guerra; mai il potere di acquisto delle persone era stato tanto eroso nel corso degli anni. E’ il periodo delle tre “R”: rinuncia, risparmio, rinvio. “Crollano i consumi”, si affretta a specificare chi mette insieme numeri e statistiche. Tante e tante parole sul PIL, quel famoso acronimo che sta per Prodotto Interno Lordo e che dovrebbe rappresentare – lo sanno ormai anche i profani di economia – l’indice di benessere economico di una nazione. Ma perché non si parla mai del PIF? Il Prodotto Interno di Felicità è un indice quasi mai considerato in Italia. Eppure mi appare impossibile capire profondamente una società a prescindere da quanto i suoi individui riescano a vivere una vita felice, a prescindere da mere considerazioni statistiche che ineriscono solo gli ambiti economici. E’ pur vero che le funzioni vitali della società italiana sono state messe a dura prova dalle sventure legate al malfunzionamento di un sistema (quello capitalistico) che ha mostrato più di una falla; ma è altrettanto innegabile che l’ombra lunga di tale crisi ha investito come un tornado le vite e le relazioni di ognuno di noi. Depressione, incapacità a gestire le nuove emergenze dovute a carenza di lavoro proprio e/o dei propri familiari, instabilità emotiva e relazionale causate dalla perdita di identità sociale sono solo alcune delle patologie sociali a cui siamo oramai assuefatti, ma che non godono dell’importanza che meriterebbero. Ma una società così avvilita e depauperata di forza vitale ha bisogno semplicemente che il debito pubblico diminuisca affinché si possa pagare qualche miliardo in meno di interessi passivi? Oppure bisognerà cominciare a cambiare prospettiva, per guardare il problema da altra angolatura? Sicuramente questo momento di crisi – non solo economica – può portare ad un cambiamento, a ripensare le nostre azioni, le nostre scelte e a prendere posizione su ciò che realmente vogliamo e su ciò che veramente ci può rendere felici, in una società aperta, ecosostenibile e serena, con un modello di sviluppo che implicitamente favorisca la piena realizzazione delle persone che ne fanno parte. E per far ciò non sarà sufficiente guardare la crescita o decrescita del PIL, ma si renderà indispensabile una presa di posizione di ognuna/o di noi nel partecipare alla scelta di quel vivere sociale che desideriamo, ristabilendo le priorità a cui vogliamo dare vita.

 

 

L’ombra lunga della crisi economica

 

 di Roberta Bettoli

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