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Si tratta di rinunciare a qualche piccolo momento della propria vita? Oppure di correre in tutti i suoi piccoli vicoli senza però respirarne ogni pur minima esalazione?

 

"Non è di mia competenza". "Non rientra nelle mie mansioni". "Mi costa troppe energie". "Non è corrisposto". "Non è ben pagato". Freni, blocchi, chiusure che spingono l'essere umano a girare su se stesso. Troppo spesso si diventa protagonisti, più o meno consapevoli, dei propri limiti e si rimane chiusi nel recinto della confusa convinzione dell' "io valgo". Oppure si procede indecisi con continui salti da una retta ad un'altra: vivere per lavorare, lavorare per vivere; rette parallele che non si incontreranno mai.

 

E, invece, mai e poi mai si dovrebbe perdere quel dolce sapore del "dare". Quel dare che è solo donare.

 

Non sarà che per correre veloci dal pieno centro verso tutte le periferie delle nostre vite, stiamo perdendo troppe sfumature?

 

Il caffè della mattina è degustato insieme alle video-news della nostra tv o del nostro pc, salutiamo gli "amici" sui social networks e così via per tutta la giornata, lasciando scivolare un'occasione dopo l'altra di esternare il desiderio del contatto umano: un bacio in più ai nostri figli, uno sguardo posato sul profumo del "Bene" o solo fermarsi e... respirare. Non religione, idolatria o falsi miti. Solo una Vita.

 

Dare è regalare, e cioè rielaborare ciò che si è preso, appreso, avuto in ogni modo e in ogni dove per farlo uscire in una nuova e personale forma. Sì, farlo uscire da noi. Diventare, insomma, esseri originali e godere di gratificazione e soddisfazione nel vivere la vita dentro il concetto di gratuità. Puro gusto, ormai quasi assente, in una società che si muove poco e non comunica, casomai urla e devasta. Una società che scambia interlocutori come i bambini si scambiano le figurine e che, confusa e stanca, prova a dire che vorrebbe cambiare e scende in piazza per costriure, ma si ritrova nell'incapacità di ricostruire ciò che ha distrutto. Proprio quella voce poi, quella delle piazze e dei cortei appunto, sarebbe una bella voce, ma "Sciopero" ormai fa ottenebrare il cielo, già grigio di suo. Grigio perchè contornato da nubi fatte di assurdità e controsensi: si parla di semplificazioni con un linguaggio incomprensibile ai più. Ciò che invece si capisce bene è che siamo finiti dentro una rete di burocrazie. Grigio perchè si vive con il "tutto" che non funziona o, nel migliore dei casi, funziona solo per complicare le cose e, poi, c'è l'eterno conflitto generazionale dove ci viene facile credere, ad esempio, che un padre, magari in uniforme, è al suo lavoro in strada per poter dare al figlio la possibilità di mangiare, di studiare, di crescere e poter avere una casa ed una valida professione. Quest'uomo è in piazza a tutelare un ordine pubblico che non rimane tale e quel figlio è proprio lì, nella stessa piazza, a manifestare perchè non vede presente, non vede futuro, non vede né il padre né i figli che verranno.. E poi, tra quegli uomini ci sono padri sofferenti e affaticati e tra quei giovani, c'è chi è già terribilmente invecchiato, chi è già rassegnato a comunicare con l'unica via della violenza. "Sciopero" ormai fa paura perchè vengono da vicino e da lontano a favorire le loro esasperazioni indotte dal terrore e dal disagio sociale, non certo da giusta causa. Giusta causa è combattere per i propri ideali, così hanno sentito dire dai loro nonni, combattere per qualche certezza nel futuro dei loro figli, bypassando il contatto diretto nel più classico dei salti generazionali. Il cielo è grigio e sta per piovere proprio su di loro e non per i disordini con il sangue sul capo di padri e figli: non è questa la notizia.

 

La notizia è che piove su tutti noi. Quali ideali? Quale crescita globale? Dov'è la "persona"?Speranze tradite, deluse, disattese.

 

Scalpitiamo tutti perchè non ci prendiamo e non ci comprendiamo. E tutti abbiamo fretta di far sapere ciò che non sappiamo bene dire e non sappiamo chi ci può capire.

 

E' certo che "Comunicare" non può solo significare "combattere". Comunicare è saper scegliere i canali per riuscire ad esternare i propri ideali, quei canali che servono a far comprendere a chi già sa e proprio non vuole più sentire.

 

La frequenza giusta è il puro e semplice parlare e ascoltare contestualmente e contemporaneamente: sarebbe facile provarci partendo dal voler donare qualcosa di sé alla vita. Talmente semplice che oggi, in questo mondo di contorsioni, intrecci ed intrighi sembra essere proprio incomprensibile.

 

Cosa c'è d'incomprensibile nel vedere che ci hanno raccontato i fatti degli scontri in piazza durante le manifastazioni, il sangue, i morti e i feriti, quando il fatto vero, la "eccelsa notizia", doveva essere lo sciopero in sè, cioè i motivi che hanno portato per le strade le persone, cosa dovevano dire, cosa hanno detto, chi avrebbe dovuto ascoltare, chi e come (non) ha ascoltato. Il "fatto" è davvero così difficile da "donare", cioè da comunicare?

 

Ah! la cronaca d'oggi....

 

Chi fa informazione non può non voler/non saper comunicare. Non si può spostare l'attenzione solo su ciò che fa salire i livelli di adrenalina (e anche di ascolto e gradimento, ovviamente) come nei migliori video-games, arricchendo così ancor di più l'ignorare generale ( e anche qui tanto, forse troppo, ci sarebbe da dire...).

 

L'informazione non può scambiare i fatti con il "fare notizia".

 

Perchè sul palco si assiste così spesso al monologo del narratore/cronista con conseguente faro ad occhio di bue puntato dritto dritto solo sulle sue labbra?

 

L'informazione non può traslare la società su una piccola piazzetta di paese dove si assiste ad una burlesca danza di padri con figli, di forze dell'ordine con lo stato sociale, governanti e popolo, diritti calpestati e doveri onerosi.

 

C'è tanto rumore, tanto movimento, tanto... Eppure manca qualcosa.... Ed è, a mio parere, essenziale.

 

E' forte la presenza dell'assenza del "dare".

 

Altro che punti di vista!

 

Saper vivere, saper colorare la vita, saper comunicare e molto, ma molto di più. E' conoscenza pura: testa, cuore e anima stretti in un unico abbraccio. E' sentire l'efficacia e l'efficienza della propria esistenza. Come si può pretendere di migliorare se non si è predisposti al togliere qualcosa dal "sé" senza dover necessariamente colmare quel vuoto con qualcos'altro? Possibile che non si veda quanto quel "vuoto" non sia vuoto ma un tutto pieno di benessere e crescita?

 

E, come già detto, è proprio di questo che si tratta: "dare" senza necessariamente avere in cambio qualcosa, perchè in cambio c'è già molto. C'è un grafico in crescita, una strada in discesa, un'anima pulita, una società migliore, una vita vera.

 

Mettere a disposizione quella che è una parte del proprio bagaglio di competenza. Mettere in gioco una parte del proprio tempo, del proprio pensiero, delle proprie attitudini. Si tratta di collaborazione, di passione, di dedizione. Si tratta di saper parlare sottovoce nel frastuono ed essere capaci di urlare nel silenzio.

 

Con il "dare" non si aspetterà un'altra vita per poter dimostrare di aver qualcosa da dire, di saperlo fare, di riuscire a scegliere gli interlocutori, di voler costruire in modo genuino e moderno allo stesso tempo, di poter provare a cambiare qualcosa.

 

Ecco il web! Che sia un buon canale, che sia un'armonia soave, che sia il passato nel futuro... Un monitor che si accende: chissà che questa luce non possa rischiarare un po' quel grigiore. E, davanti a questo, ecco l'utente, l'uomo, la persona, che legge, che sente, che guarda e che prende tutto questo, quando e come vuole!

 

Ci si può, però, voltare ad incontrare un'altra luce, una mano tesa, un cuore che batte e non dimenticarsi, allora, di abbracciare una volta ancora i propri cari.

 

Usando i colori della passione, l'interazione dell'intelletto e un po' di antica saggezza si può dar vita ad una voce chiara. Chissà che non si possa insieme far tornare il sole...

 

Non un vecchio film in bianco e nero, dunque, ma Comunicazione.

 

SOCIETA', WEB E I COLORI DELLA PASSIONE: L'ARTE DI COMUNICARE

 

Monica Ramarini

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